Circa l’invasione dell’Ucraina e la sua risonanza mondiale si assiste quotidianamente ad una sorta di messa in opera corale su due linee che solo in parte coincidono. La parte coincidente consiste in una condanna comune che, però, è definitiva per gli uni ma solo introduttiva per gli altri. Trattandosi di un evento in corso, i primi sottolineano la brutalità della guerra scatenata da Vladimir Putin come evento fondamentalmente chiaro nella sua dinamica e che richiede, quindi, decisioni altrettanto rapide e contingenti. I secondi, invece, ricorrono a un veloce preambolo di riprovazione concepito come una specie di pedaggio per ottenere ascolto, per poi dilungarsi nell’elencazione di altri eventi bellici promossi o aiutati da vari Paesi occidentali in varie parti del mondo, al fine di segnalare quella che, per loro, è una eccessiva attenzione critica verso la vicenda ucraina e verso la Russia.
Il fatto che l’attuale guerra sia tale da sollevare reazioni negative e timori in tutto il mondo, nonostante l’ambiguità di vari Paesi strettamente legati a Mosca, li lascia perfettamente indifferenti. Essi, così, preferiscono ricordare avvenimenti in altri scacchieri e tempi, tragedie umane e militari di ieri o l’altro ieri, nei riguardi dei quali, alla fine, riescono sempre a inserire il ruolo malefico della Nato e in particolare degli Usa. Non saprei dire quanto successo stia avendo questo gioco dialettico, nel quale le sinistre sono da sempre specialiste. A mio parere, tuttavia, solo chi vi presta un’attenzione superficiale ne esce persuaso o dubbioso sul giudizio da esprimere nei confronti di Putin e di ciò che egli rappresenta.
Il criterio di base da adottare in casi come quello dell’Ucraina è in effetti molto semplice e chiaro: si tratta, infatti, di una guerra di notevoli dimensioni nel cuore dell’Europa e, soprattutto, condotta da Paesi non estranei alla nostra comune storia degli ultimi secoli. Si tratta, insomma, di un caso bellico che non può che toccare da vicino i Paesi europei e atlantici. Per questo le guerre, tutte regionali, che si sono generate nel mondo dalla fine della Seconda guerra mondiale, non hanno mai fatto temere la Terza guerra mondiale e men che meno l’impiego possibile delle armi nucleari.
Ce n’è abbastanza per capire che siamo di fronte ad un fatto eccezionalmente terribile, e ciò non perché i morti ucraini valgano di più dei morti in altri conflitti armati, ma perché costituisce una vera “novità” che fino a ieri avremmo giudicata altamente improbabile. Per capirci: ogni omicidio è grave ma, se a morire, fosse il presidente di un Paese europeo solo uno sciocco pretenderebbe che la cosa venisse trattata dalle polizie europee, e dai mass-media, come uno dei tanti omicidi che purtroppo accadono ogni giorno. In termini tecnici, dovremmo riconoscere che l’uccisone di un presidente, o la guerra in Ucraina, sono veri e propri outlier nella distribuzione statistica delle relative classi di fenomeni.
D’altra parte, sebbene nessuno dei coristi del secondo tipo lo dica esplicitamente, appare chiaro che la loro preoccupazione per la “pace”, con relativo biasimo per l’invio delle armi e per la messa in allerta della Nato, nasconde in molti casi il malcelato desiderio che la guerra si traduca in una sonora “lezione” proprio per la Nato e in primis, ovviamente, per gli Sati Uniti. Il tutto da parte di un Paese, la Russia, che per molti versi tende sempre più grottescamente a voler assumere l’immagine posticcia di un Paese “amante della pace” per usare un’espressione assai diffusa nella propaganda comunista di anni fa. È in questo quadro che va interpretata l’enfasi posta da costoro su eventi, erroneamente esibiti come analoghi, di un passato che impedisce loro di accettare l’evidenza del presente.
Aggiornato il 25 aprile 2022 alle ore 12:56