La restaurazione talebana giova al caos sessista mondialista

Ha scritto bene Riccardo Scarpa su L’Opinione che Kabul è stata presa quando il giornale era in pausa, così che ciò ha salvato la testata dalle molte banalità scritte a caldo. Ma resta il fatto che la presa talebana dell’Afghanistan è l’evento di politica internazionale dell’estate, e temo dei prossimi mesi. Ci sono pertanto elementi eclatanti che hanno sbalordito le opinioni pubbliche mondiali, ma anche i leader dei vari Stati.

Detti in sintesi sono i seguenti: come ha fatto il commando talebano a mettere a segno la rapida riconquista? Vent’anni di presidio militare internazionale, di forze di pace, di formazione sul campo, di spese gigantesche non sono serviti a niente? Perché l’America di Joe Biden ha smobilitato senza una transizione, un piano serio con gli alleati, gettando la popolazione afghana nel caos più totale? Il fallimento dimostra che la democrazia non è esportabile?

Le conseguenze della restaurazione sono immagini scioccanti. La presa disperata dell’aeroporto di Kabul da parte di masse di gente in fuga, quelle donne che cercavano di gettare i bambini oltre il filo spinato, i ragazzini e i più forti aggrappati agli aerei in decollo con la conseguente caduta dei corpi come in una macabra rievocazione delle Torri Gemelle. E ancora le voci rotte dal pianto di coloro che sono riusciti a mettersi in salvo: “I talebani vanno casa per casa a cercare i collaborazionisti”. Le pallide promesse dei nuovi signori di Kabul: “Nessuna ritorsione per chi si pente, le donne potranno continuare a studiare ma in università separate e sottomesse alla sharia”.

Il tutto ha effettivamente dell’incomprensibile. In un contesto già difficile di migrazioni e instabilità, col Covid che imperversa, che senso ha mettere in moto l’esodo massiccio afghano, che ricadrà su tutti, Europa e Italia in primo piano? Le tesi sono altrettanto variegate. La prima vuole una Cina aperta alla restaurazione e interessata ai giacimenti afghani. La portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, ha detto qualche giorno fa: “Nulla è inciso sulla pietra. Il rapido cambiamento di situazione in Afghanistan mostra che, in passato, il giudizio sulla nazione da parte del mondo esterno è stato carente di obiettività”. Cautele che fanno eco a quelle espresse dal duo Luigi Di Maio-Giuseppe Conte, secondo i quali “i talebani vanno giudicati dalle azioni e non dalle parole”. Posizione che è valsa al ministro degli Esteri e al capo dei Cinque Stelle la critica di credere ai “democristiani col kalashnikov”, mentre Enrico Letta ha subito rilanciato la politica dell’accoglienza del Partito Democratico.

Contro un’opposizione frenatissima. Matteo Salvini, pur favorevole ai corridoi umanitari, si è detto intransigente sugli esodi indiscriminati dal rischio terrorismi. E Giorgia Meloni si è espressa sempre più favorevole al blocco navale contro la fallimentare Amministrazione Biden. Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, che segue attentamente l’evoluzione e il premier Mario Draghi lavorano fittamente a un G20 straordinario sull’Afghanistan per affrontare l’emergenza profughi. Questo grosso modo il quadro attuale, a cui vanno ad aggiungersi le tesi di Roberto Saviano sui talebani boss dell’eroina e del traffico delle droghe.

Tre, dunque, le questioni calde: le critiche all’America, la dilagante questione femminile afghana, le fughe e la conseguente super immigrazione. Possibile che i democratici americani abbiano commesso l’errore del secolo con una nuova Saigon? Non sono d’accordo, e poiché il nostro è un giornale controcorrente espongo la mia opinione. Vi siete accorti che da tempo la sinistra italiana punta meno a vincere all’interno del proprio schieramento rispetto all’invasione ideologica del campo avversario? E vi siete accorti che in America, come altrove, le tesi della roboante campagna Lgbtq+ sulle libertà fluidissime arrancano, visto che anche in Italia l’approvazione del Ddl Zan si è arenato? E vi siete accorti che si è consolidato un fronte femminile e progressista, che non sono solo i conservatori nemici, ma le donne e gli intellettuali non allineati con gli estremismi e le cancel culture? Ciò mette seriamente a rischio il piano delle forze sinistre, che non puntano solo ai governi nei rispettivi Paesi ma a quel “reset” da nuovo ordine culturale, etico-morale e dunque politico. Che avanza dal 1974, dalle prime leggi sul divorzio e sull’aborto, mirato a trasformare la società giudaico-cristiana fondata sulla famiglia in una società fondata sui valori marxisti, atei, materialisti, spiritualisti, della new age. E se questo progetto crolla, o semplicemente frena, è la rovina ben oltre Kabul.

In questa ottica la restaurazione talebana è tutt’altro che un cattivo affare per questa corrente sessista mondialista. Perché coi talebani padroni e minaccia è stato facile armare una sollevazione anti-maschilista e femminista senza distinguo e confini. Tutti, e soprattutto tutte, contro il burqa, contro le arcaiche e violente leggi islamiche, tutti contro i maschi padroni con un fiorire di film, di documentari, di letteratura, di slogan, di indottrinamento laico. E chi si mette ora a fare il muro ai matrimoni gay con quello che imperversa di repressivo?

Ecco attuata la teoria di Umberto Eco, il quale spiegava che il nemico se non lo hai te lo devi inventare. Ecco perché Joe Biden e Kamala Harris si scrutano ma non tremano. Ed ecco perché i nostri post-comunisti hanno ripreso fiato e nonostante gli sbarchi senza sosta non cedono alle politiche apertissime del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese contro cui Giorgia Meloni azzarda una sfida frontale: “Sfiduciamola!”. Fino a che siamo in tempo, viene da aggiungere.

Aggiornato il 24 agosto 2021 alle ore 10:11