Algeria, vince Abdelmadjid Tebboune, il “vecchio che avanza”

Giovedì, il centro di Algeri è stato teatro di un’imponente folla di manifestanti che hanno protestato contro le modalità organizzative dello scrutinio per le elezioni presidenziali, sebbene che una forte presenza della polizia si sia adoperata per rendere altisonante l’evento e “credibile” lo spoglio. Secondo i dati ufficiali l’affluenza alle urne ha raggiunto appena il 39,93%, dimostrando l’efficacia della campagna all’astensionismo proclamata e maturata in questi ultimi mesi. Osservando e ascoltando le tv locali emerge un popolo deluso ma compatto, tenace nel richiedere e pretendere un “passo in avanti” dell’Algeria, accompagnata da un “passo in avanti” della “loro democrazia”; un negoziante di nome Salim pronuncia la frase “Siamo vergini” (nahn aleadharaa), mostrando orgogliosamente e senza timore, gli indici delle mani non anneriti dall’inchiostro indelebile, segno inconfutabile di non avere partecipato al voto. L’obiettivo dei manifestanti era quello di offuscare la giornata delle elezioni presidenziali con una massiccia manifestazione anti “regime”. Il movimento popolare denominato Hirak, ha boicottato attivamente la consultazione di voto voluta dal regime, il quale ha “giocato” molto sulle motivazioni del rinvio della tornata elettorale programmata per i primi di luglio, interpretando, a proprio vantaggio, le istanze dell’opposizione e della maggior parte del popolo algerino, che da mesi denunciano l’assenza di garanzie sull’attendibilità delle elezioni. Giovedì il Presidente dell’Anie, l’Autorità Nazionale Indipendente per le Elezioni, Mohamed Charfi, ha informato che l’affluenza nazionale è stata del 39,93%, un dato ritenuto gonfiato, anche alla luce delle immagini dei seggi dove non si notano file e si palesano scarse presenze. Nelle precedenti elezioni del 2014, dove il “butefichismo” (“concetto” socio-politico caratterizzato dal potere del pluridecennale presidente dimessosi ad aprile, Abdelaziz Bouteflika), imperversava, il tasso di affluenza era stato del 50,7%. E’ evidente che le difficoltà maggiori del futuro presidente, saranno quelle di rendere credibile, quindi legittima la sua elezione, mentre la decennale crisi politica non ha mai accennato ad essere risolta dai governanti che oggi si propongono come il nuovo. Il popolo algerino del grande Stato del Magreb è “robusto” ha sostenuto, con immani sacrifici, le profonde tensioni interne, le sommosse popolari del 1988, i moti rivoluzionari che hanno portato alla guerra civile del 1999 (più di 200 mila morti, innumerevoli cittadini fatti scomparire ad opera delle forze di repressione, intellettuali oppressi ed eliminati), ha “retto” alle endemiche e serpeggianti minacce jihadiste, ed è proprio nel ricordo, o diretto o narrato, che il popolo e la gioventù algerina hanno, con lungimiranza, ignorato i “falsi profumi della Primavera araba del 2011”.

Giovedì è stata celebrata la sinossi della profondità di questa crisi, con la scena del divario tra l’Algeria di Hirak e l’Algeria “ufficiale e lealista”. Le vie principali di Algeri si presentavano solo gremite di poliziotti “attrezzati” con cannoni ad acqua e schierati in tenuta anti sommossa; il quartiere dello shopping Meissonier, in centro, solitamente frequentato, era semideserto; vicino alla daira di Saoura, nei pressi della Prefettura, grazie alla presenza di militari non in servizio, si notava qualche affluenza alle urne. Dalle molte riprese televisive si scorge che solo nel viale Didouche-Mourad, all’altezza della Cattedrale del Sacro Cuore, si nota un gruppo di manifestanti, che incoraggiati dai clacson degli automobilisti, gridano: “non ci spaventerete con il decennio oscuro, è la miseria che ci ha spinto”, “controllati” immediatamente dalle forze di  polizia che hanno fatto sentire la loro presenza.

In questo complesso quadro socio politico, in un clima di massiccia contestazione contrassegnata da un tasso di astensionismo da record, è stato eletto Presidente della Repubblica di Algeria l’ex Primo ministro settantatreenne Abdelmadjid Tebboune; e proprio l’astensionismo era l’obiettivo della grande mobilitazione popolare, che puntava sulla mancanza di affezione al voto, per sottolineare il “deficit di legittimità” del neo Presidente. L’astensionismo non è stata l’unica “finta sorpresa” di queste tesissime elezioni, anche il 17,38% dell’islamista Abdelkader Bengrina classificatosi al secondo posto, solleva riflessioni socio-politiche, come la scarsa performance di un altro ex capo del governo Ali Benflis, che si colloca solo al terzo posto con il 10,55%; particolarmente significativo il flop del Ministro della cultura Azzedine Mihoubi, dato per favorito, che con il suo 7,26% determina il tracollo dell’ex coalizione governativa sostenuta dal RND (Raggruppamento Nazionale Democratico) e dal FLN (Fronte di Liberazione Nazionale). Verosimilmente è proprio il fallimento di questi “raggruppamenti politici” che minerà pesantemente il futuro dell’nuovo presidente, figlio del vecchio Sistema; non dimenticando l’ingombrante figura del generale Ahmed Gaid Salah, contrappeso militare di una repubblica che si appoggia, come la maggior parte degli Stati centro nord africani, sulle “spalle” dell’Esercito.  

Aggiornato il 17 dicembre 2019 alle ore 10:51