Come era prevedibile e come temuto, l’esercito maliano si è ritirato dalle postazioni di confine con il Niger ed il Burkina Faso, lasciando ampi territori alle milizie jihadiste del Isgs (Stato islamico del Grande Sahara). La notizia fonte Afp (Agence France Presse), ha fatto tremare le varie strutture governative degli Stati del Sahel, tutti coinvolti nel medesimo rischio di islamizzazione jihadista dei propri territori. Il ripiegamento del FAMa (Forze Armate del Mali), in aree arretrate ritenute più difendibili, evidenzia che il confronto “militare” tra i due “gruppi armati” è chiaramente uno scontro tra due eserciti ben definiti.
Le posizioni che sono state abbandonate dal FAMa, sono le postazioni di Anderaboukane e Indelimane ed il ripiegamento è avvenuto nelle città di Menaka, Labbezanga, e Ansongo. La ritirata, come hanno già dichiarato fonti militari maliane direttamente sul web, non sarà l’ultima ed è solo un aspetto del grave deterioramento della sicurezza nell’area del Sahel, rafforzando i dubbi sull’efficacia dell’”azione” militare di Francia ed delle “organizzazioni internazionali”, tra cui Barkhane (operazione franco-malese anti-insurrezione nel Sahel) e Minusma (missione multidimensionale di stabilizzazione integrata delle Nazioni Unite in Mali) e sulle effettive capacità degli eserciti “regolari” di fare fronte al crescente potere offensivo jihadista. Infatti le contingenze degli attacchi a Indelimane e Boulkessy, che hanno causato una cinquantina di morti tra i militari maliani, non sono chiare e tantomeno rese note, ma “le relazioni” trapelate sull’accaduto, non confermate da fonti governative, rivelano che l’esercito non era all’altezza di reggere alle pressioni jihadiste, ne tantomeno di coordinare le richieste di “supporto rapido”, carenze tattiche determinati per l’esito del confronto. In conseguenza alla disfatta di Indelimane il presidente maliano Ibrahim Boubacar Keïta ha dichiarato di aver ordinato all’esercito l’applicazione del “nuovo concetto operativo”, affermando che: “Nel tentativo di riconsiderare la nostra posizione operativa sul terreno, le unità isolate saranno raggruppate in punti di supporto e centri di resistenza”; aggiungendo che: “Questa decisione fa parte dell’attuazione di un nuovo concetto di operazione che mira ad adattare meglio la strategia alla minaccia dei terroristi e dei trafficanti di droga”. Quindi la “ritirata” è verosimilmente “mascherata” dal “nuovo concetto operativo” che in pratica è un arretramento territoriale con la cessione di aree all’Isgs.
Allo stato dei fatti si può affermare che sei anni dopo l’intervento dell’esercito francese in Mali, finalizzato a cacciare i jihadisti delle città del nord, l’attività dei gruppi islamisti non è assolutamente indebolita; l’uccisione, alcuni giorni fa, del brigadiere Ronan Pointeau di 24 anni e la successiva esplosione di una miniera limitrofa, hanno palesato una grave fragilità difensiva del governo del Mali e dei suoi partner internazionali, nonostante la visione ottimistica del ministro francese delle forze armate, Florence Parly, che ha dichiarato che l’operazione “Barkhane non è impantana” e che “Barkhane si adatta continuamente alle necessità”.
In una analisi più ampia si può affermare che il nuovo Stato islamico nel Grande Sahara e quello che rimane dell’Isis, hanno un rapporto di complementarietà: la granularizzazione dell’ex Califfato agisce in modo centrifugo, colpendo nel suo “ex territorio”, come è accaduto giorni fa a Kirkuk in Iraq, dove sono stati feriti militari italiani ed in Siria, dove è stato ucciso un prete; si capillarizza in Europa, ma le sue milizie trovano anche accoglienza nel Sahel dove “importano” la loro esperienza di “Stato islamico”. Più fonti di informazione, soprattutto africane, prevedono un probabile aumento del potere dell’organizzazione dell’autoctono Stato islamico nel Sahel; il soffocamento del Jihadismo in Siria, in Iraq ed in Libia porta i jihadisti a rifugiarsi nell’Africa saheliana, che attualmente appare come la zona più “porosa”. Ricordo che la risposta al terrorismo non può essere solo militare, ma bisogna tenere presente che l’“appeal” principale del reclutamento di neo gruppi terroristici, non è l’ideologia del salafismo jihadista, ma sono la povertà, la disuguaglianza, l’ingiustizia e la fame.
L’uccisione, avvenuta di recente, di alcuni massimi rappresentati del Jihadismo saheliano, come il marocchino Abou Abderahman al Maghrebi, alias Ali Maychou, leader religioso dell’Islamist and Muslim Support Group (Gsim) e dell’algerino Djamel Okacha, alias Yahya Abu El Hamame, tutti legati ad Al Qaeda nel Sahel, nonostante il tono trionfante del ministro francese Florence Parly, non ha intaccato l’efficacia dell’estremismo terroristico, come l’uccisone di al-Baghdadi non ha influito sulle “anarchiche” azioni terroristiche dei jihadisti “reduci” dell’ex califfato mesopotamico.
Inoltre da alcuni giorni le madri e le vedove dei militari maliani uccisi negli scontri con i jihadisti, hanno manifestato l’atteggiamento inefficace di Barkhane e Minusma e chiedono che lascino il Paese sostenendo “che non stanno praticando un gioco chiaro”; contestualmente chiedono alle autorità di favorire lo spiegamento delle forze russe a sostegno delle FaMas (Forze Armate malesi) per fronteggiare i jihadisti e riconquistare i “territori occupati”. “Lunga vita alla Russia, abbasso Francia, abbasso il Minusma ed il Barcanè” è lo slogan che si “legge” nelle loro manifestazioni.
Aggiornato il 13 novembre 2019 alle ore 16:47