Xi Jinping: il nuovo Mao per un Nuovo semiordine mondiale

Qualunque sarà l’effetto della visita di Xi Jinping in Russia, ha rappresentato sicuramente una “lezione” di come si costruisce un Nuovo “semi-ordine mondiale” e come si mutila l’ordine mondiale vigente. L’insegnamento del neo “Mao”, Xi, è anche quello di mostrare la consapevolezza che vede l’accesso allo status di potenza globale solo con una propedeutica capacità di iniziativa nel Medio e Vicino Oriente, non solo economica e militare, ma anche diplomatica. Così, la sponsorizzazione cinese per una normalizzazione dei rapporti tra l’Iran sciita e l’Arabia Saudita sunnita-wahabita – che da anni si stanno confrontando anche sul “fronte” Yemen –  si colloca sia nel quadro diplomatico cinese d’influire nel Vicino Oriente con lo scopo di avere un altro sostegno al disegno di un Nuovo ordine globale, sia per rafforzare i grandi investimenti fatti dalla Cina in Medio Oriente nell’ultimo decennio, che necessariamente devono tradursi in un’influenza politica complessiva.

Anche il vecchio George H. Bush, nel 1991, nel Vicino Oriente pose le basi del suo personale “Nuovo ordine mondiale”, con lo scopo di erigere la supremazia statunitense sulle macerie dell’Unione Sovietica. La campagna orchestrata dagli Stati Uniti e dagli alleati per la liberazione del Kuwait, dopo l’invasione irachena voluta da Saddam Hussein il 2 agosto 1990, ha seguito poi il processo di pace arabo-israeliano, sempre sotto il mantello di Washington. Ma l’operazione imperialista Usa crollò come è sua consuetudine storica – l’ultima in Afghanistan – nel 2003, con la catastrofica invasione dell’Iraq da parte del figlio George Bush, che oltre che distruggere ciò che suo padre aveva pazientemente e anche spregiudicatamente costruito, spalancò le porte ai movimenti jihadisti, suggellati dalla nascita dello Stato islamico nel 2004, guidato dal califfo Abu Bakr al-Baghdadi.

I presidenti Barack Obama, Donald Trump e Joe Biden, con l’obiettivo di chiudere con le guerre infinite in Medio Oriente, agirono svincolando gradualmente, ma anche maldestramente, gli Stati Uniti da quest’area, fino ad allora considerata strategica, abbandonando ogni tentativo di mediazione in ambito al conflitto israeliano-palestinese. Vladimir Putin si è così infilato nei pertugi lasciati dagli Usa, ponendo uno scudo protettivo alla Siria sciita-alawita degli Assad, utilizzando Damasco per sviluppare le sue strategie verso l’Europa. Ma anche, più chiaramente, verso la Turchia. Tuttavia, l’ormai conclamata scarsità strategica del presidente russo, nonostante il suo impegno militare al fianco del regime di Assad abbia dimostrato le incapacità a favorire una soluzione politica alla annosa crisi siriana, ha comunque permesso alla terza colonna della regione, quella siriana, di non crollare dopo il collasso di quella irachena di Saddam Hussein e quella libica di Muammar Gheddafi. Il sostegno russo a Damasco, contro le derive jihadiste e le ambizioni turche, ha mantenuto Bachar al-Assad sul “trono”. Ora il sistema geopolitico attuale favorito dalle strategie cinesi a guida di una corrente anti-occidentale, ma anti-Usa soprattutto, sta cesellando una nuova realtà, soprattutto per l’area “arabo-europea”. Infatti, stiamo assistendo a un ritorno agli anni di inizio secolo, con l’accrescersi di allarmanti segnali sulla possibilità che Israele intervenga ad ampio raggio, come vediamo in questi ultimi giorni, anche al fine di rispondere al ritorno della minaccia del programma nucleare iraniano. Non è per ora che Teheran possa ottenere un arsenale nucleare operativo e credibile, ma l’Iran degli ayatollah è di fatto sulla soglia nucleare. Infatti, proprio l’Aiea, l’Agenzia internazionale dell’energia atomica, che ancora può ispezionare i siti nucleari iraniani, ha confermato che la Repubblica islamica ha una scorta di uranio arricchito superiore al sessanta percento, adeguata per fabbricare almeno due bombe nucleari. Fatto inaccettabile dal punto di vista diplomatico, perché l’Iran è ancora membro del trattato di non proliferazione nucleare.

Un casus belli per il neo-capo del Governo israeliano Benjamin Netanyahu? Forse sì. Infatti, recentemente ha ricordato che la sua priorità è l’Iran. Ora il rischio di un’azione militare è plausibile, soprattutto dopo gli Accordi di Abramo, che hanno permesso a Israele di rafforzare la propria presenza, ufficiale o occulta, ai confini dell’Iran. I recenti attacchi con droni alle strutture iraniane sono la dimostrazione.

Ricordo che l’Iran è cobelligerante al fianco della Russia, essendo un fornitore ufficiale di droni kamikaze e droni armati all’esercito di Putin contro l’Ucraina. Insomma, sono gli albori di un non semplice bilanciamento tra il Vecchio ordine mondiale ed il Nuovo ordine mondiale made in Cina, ambedue dai confini non definiti ma ombreggiati da un alone nucleare.

Aggiornato il 28 marzo 2023 alle ore 09:53