La Tunisia vieta il niqab negli uffici pubblici

La Tunisia ha avuto un percorso storico che in vari modi l’ha sempre vista legata poco all’Impero ottomano e più alle sponde opposte del Mediterraneo. Lo “schiaffo di Tunisi” (1881), procurato subdolamente dalla Francia al Regno d’Italia, portò lo Stato del nord Africa nell’ambito del protettorato transalpino, infrangendo il trattato italo-tunisino del 1868 che avrebbe avuto una durata di 28 anni, tuttavia proseguì, con “modalità transalpine”, la diffusione di una laicità consuetudinaria e normativa già avviata dai precedenti italici rapporti. Tale organizzazione della società fu condivisa con i regnati, i Bey di Tunisi, della dinastia Hudaynide, fino al 1956 data dell’indipendenza dalla Francia. Habīb Bourguiba (1903-2000), primo presidente post decolonizzazione, in carica fino al 1987, proseguì un’importante percorso laico, favorendo ogni disposizione normativa tesa al rispetto dei diritti umani, in generale e della donna in particolare, derogando, spesso, dai dettami che la Legge coranica, la sharia, imponeva.

Infatti solo dopo pochi mesi dal suo insediamento, la Tunisia adottò la Mağalla al-ahwāl al-šahsiya, un “ardito” Codice di Statuto Personale che, nel mondo arabo, insieme alla Mudawwana del Marocco, rappresenta la massima espressione di un “laicismo ragionato”, come affermò Mohamed Charfi (1936-2008) uno dei più illuminati intellettuali tunisini. La Mağalla al-ahwāl al-šahsiya, dal 1956 ha avuto numerosi adeguamenti e miglioramenti, uno dei più simbolici è stato emanato nel 2009, quando venne statuito che la donna non musulmana ha diritto di beneficiare degli stessi diritti del coniuge; inoltre la Mağalla già prevedeva importanti tutele della donna, tra queste: l’abolizione della poligamia, l’eliminazione del ripudio, la concessione ai coniugi di pari opportunità al fine di ottenere lo scioglimento del matrimonio mediante il ricorso al giudice e non ai tribunali islamici, considerando che in Tunisia vige la “scuola di diritto coranico” Shafi’ta, delle quattro (Malkita, Hanafita, Hanhbalita, Shafi’ta) la più moderata. Mohamed Charfi è stato capo della Lega tunisina dei Diritti dell’Uomo e Ministro Pubblica Istruzione (1980), lavorò molto sulla separazione tra istruzione religiosa e civile e sulle varie espressioni del fondamentalismo; scrisse nel 1999 -Islam et liberté: le malentendu historique – un “manifesto” sulla concezione dell’Islam come “religione e non come politica” e che ad asso si appartiene “come atto di fede e non di forza”.

Tutto ciò ha portato la Tunisia a collocarsi al 6° posto nella classifica dei 22 paesi panarabi in relazione ai diritti al “femminile”, stilata dalla Reuters Foundation. E’ di alcuni giorni fa la Circolare del capo del Governo tunisino, Youssef Chahed, che impone il divieto di indossare il niqab negli edifici amministrativi statali e nelle istituzioni pubbliche; in detta disposizione si evocano ragioni di sicurezza per i cittadini, anche in seguito ai due attentati suicidi, avvenuti nella zona di Bab Bhar a Tunisi, il 27 giugno, rivendicati da un gruppo jihadista dello Stato Islamico (IS), dove hanno perso la vita due persone, un poliziotto e un civile e ci sono stati sette feriti. La motivazione di tale decisione è mirata a interdire l’accesso nei luoghi pubblici a persone non riconoscibili. La “circolare” è stata indirizzata a ministri, prefetti, segretari di stato e capi di istituzioni pubbliche, e cita: "nel contesto della salvaguardia della sicurezza pubblica (...), è necessario prendere le misure indispensabili per vietare l'ingresso nei locali delle istituzioni pubbliche (...) a chiunque abbia il volto coperto ". Tuttavia il Testo non determina una data specifica di entrata in vigore della norma, ne una data di termine, quindi neanche se sarà temporanea o definitiva. Comunque la Lega tunisina per i diritti umani, nel nome delle libertà individuali, chiede che questa misura sia temporanea.

Afferma il presidente del Forum tunisino per i diritti economici e sociali (FTDES), Messaoud Romdhani, che la reazione della popolazione non suscita nessuna preoccupazione e che questo divieto "era una richiesta dei tunisini, attraverso i giornali, i social network, ribadendo che “a differenza dei Paesi del Golfo, l'Islam in Tunisia è più aperto e più tollerante". Va rammentato che le donne tunisine, alla luce di quanto precedentemente attenuto, non sono mai state particolarmente “affezionate” al niqab e che si è notato un notevole aumento del suo utilizzo dopo il 2011, non solo in Tunisia, ma anche nella popolazione musulmana presente in Europa ed in Italia. Condividendo quanto affermato dal presidente dell'FTDES, questo incremento dell’utilizzo del niqab è causato dai maggiori contatti, che in questi ultimi anni, ci sono con le emittenti televisive del Golfo, come la Al–Jazeera del Quatar, Sharjah United Arab Emirates tv, o canali meno noti che spesso “predicano la necessità del niqab” e chiedono alla donna di non mostrare il volto, esortando, spesso, anche gli uomini ad imporlo alle loro mogli. Frequentemente gli “speaker” appartengono a gruppi religiosi e sovente sono imam, ma nonostante tali richieste siano tendenzialmente estranee alla società tunisina, in un periodo storico come quello che stiamo vivendo, hanno una facilità di “attecchimento” molto elevata. Ricordo che la Tunisia ha si espresso grandi personaggi e Presidenti con profondi principi laici, osservanti ugualmente l’islam, ma ha anche autorità riconosciute da correnti più radicali dell’islam, come Hassan Ben Brik portavoce del gruppo salafita tunisino Ansra ash-Asharia, responsabile della predicazione e sostenitore di una rigida (salafitica) applicazione della sharia.

Aggiornato il 09 luglio 2019 alle ore 11:45