Elezioni in Nigeria tra speranze, corruzione e terrorismo

La Nigeria è uno Stato federale (composto da 36 stati) tra i più complessi dal punto di vista religioso, politico e sociologico. L’indipendenza dalla Gran Bretagna ottenuta senza particolari sforzi nel 1960, ha proiettato il più grande e popoloso Stato africano di fronte a problematiche generali che il colonialismo teneva sopite. Dal punto di vista religioso si manifesta la maggiore peculiarità, essendo presente la fede musulmana e cristiana in proporzioni indicativamente bilanciate e considerando che nell’area centro sud est del Paese vi è una realtà pseudo religiosa mista con forti credenze, consuetudini e tradizioni pre cristiane. Le sette e le superstizioni hanno nella società attecchimenti importanti, anche in classi medio alte e alte (senza delimitazioni geografiche), che riconoscono la facoltà di produrre malefici e poteri stregoneschi a personaggi che esercitano dette capacità anche in ambiti ufficiali. In alcuni casi i sacrifici umani sono tra i suddetti esercizi, gli autori di azioni di questo genere, hanno sovente uno spiccato controllo su singoli individui, su gruppi sociali ed anche su intere comunità. La politica nigeriana presenta ambiti di demarcazione determinati dall’appartenenza religiosa, infatti in più occasioni la parte musulmana ha tentato di introdurre la sharia come ordinamento giuridico; la distruzione di centinaia di chiese e anche di moschee, suggellano questa spaccatura, che tuttavia ha permesso, dopo l’indipendenza, di alternare presidenti di religione cristiana a presidenti musulmani.

In questa vasta aerea di “attrito sociologico”, non mancano importanti e noti aspetti di terrorismo jihadista come quello di Boko Haram (l’istruzione occidentale è proibita) al nord del Paese, ma anche di gruppi meno noti sempre di impronta jihadista; esistono anche profonde tensioni etniche, bande armate precariamente organizzate e molto temibili, tutto impregnato da aspirazioni separatiste e da cronica e capillare corruzione; inoltre, come ricorda la cronaca, è presente anche l’invadente criminalità organizzata particolarmente in formato “esportazione”. Tuttavia, vista anche la forte presenza di società straniere, i nigeriani sperano che la politica possa determinare una crescita economica ed occupazionale (attualmente la disoccupazione sfiora il 30% contro quasi il 9% del precedente governo), apprezzando molto le tecnologie di importazione e offrendo una capacità di “mercato” enormemente grande e articolata. Le elezioni del 23 febbraio, hanno posto di fronte due politici di “lungo corso”: Muhammadu Buhari, presidente in carica dal 2015 che ha vinto (dopo due sconfitte la prima nel 2007, poi nel 2011), sotto la “bandiera” del partito All Progressive Congress (Apc) e Atiku Abubakar, ambedue ultra settantenni hanno un curriculum politico di rilevante interesse, quest’ultimo è uno degli uomini più ricchi della Nigeria, godendo quindi, sia di un forte potere politico che economico. La vittoria del 2015 di Muhammadu Buhari avveniva dopo la sconfitta del 2011 ad opera de candidato cristiano di confessione Battista Goodluck Jonathan del Partito Democratico Popolare.

Il successo di Buhari fu auspicato anche da correnti politiche trasversali in quanto si riteneva che un presidente musulmano potesse meglio fare fronte al jihadismo di Boko Haram, inoltre il programma elettorale prevedeva una politica economica nazionale proiettata verso una crescita di investimenti prevalentemente di provenienza internazionale, ed anche una drastica lotta al male endemico della corruzione. Va detto che ad oggi nessuno di detti programmi risulta portato a compimento; tuttavia l’attuale progetto elettorale buhariano segue pedissequamente il precedente, riproponendo i suoi propositi di crescita infarciti, questa volta, di dati monetari e ostentando recuperi di oltre due miliardi di dollari dal fattore corruzione. Boko Haram, senza dubbio, nell’era Buhari, ha contratto il suo controllo sulla parte nord della Nigeria, anche se ha compensato tale perdita con una maggiore notorietà di origine terroristica perpretando rapimenti di ragazze cristiane e stragi in chiese e scuole.

“Let’s get Nigerians working again” è il motto del miliardario petroliere ex doganiere Atiku Abubakar, toccando il tasto sensibile dell’eventuale occupazione, verosimilmente, non lascerà indifferenti centinaia di migliaia di giovani e meno giovani nigeriani abbagliati da un progetto migratorio risolutivo alle loro aspettative. Stati nigeriani come Benue, Cross River, Ondo, Bayelsa, Kwara, Taraba, Rivers, Kogi ed anche Ogun, la cui capitale Abeokuta è un importante centro universitario, stanno soffrendo, in queste ore, rivolte e guerriglie legate al momento politico. Ma l’attenzione verso le elezioni in Nigeria destano interessi internazionali anche per i colossi mondiali del petrolio che controllano più del 90% della “lavorazione” dell’oro nero nigeriano: Chevron-Texaco, Exxon, Mobil (Usa), Total (Francia), Royal Dutch Shell (Paesi Bassi), Agip, Eni (Italia), inoltre l’Italia deve dedicare ulteriore attenzione all’”evento” politico proprio per la pesante migrazione che proviene da questo Stato. Ultima osservazione: in queste ore dove l’opposizione chiede la proclamazione in anticipo di Abubakar presidente, non si nota la presenza politica di espressione religiosa cristiana in una nazione dove i cristiani sono intorno al 50% (in tutte le sue espressioni) su una popolazione di più di centonovanta milioni di abitanti, se questo sarà confermato anche nel nuovo assetto governativo ritengo si possano aprire ulteriori considerazioni.

Aggiornato il 26 febbraio 2019 alle ore 12:36