“Trumpest”

Ircocervo linguistico che sta per “Trump” + “tempest”. Appare come un gioco di parole ma il suo contenuto non è affatto tranquillizzante. Per dire: il significato metaforico di “tempest” (che, poi, è anche il titolo di una famosa tragicommedia di Shakespeare) rappresenta una certa idea di odio viscerale e di lotta senza quartiere. Quella che, come l’iceberg del Titanic, sta emergendo dai fondali più bassi della società americana dopo essersi formato nel gelido clima post-elettorale, per interrompere - forse per sempre - il breve viaggio del nuovo presidente degli Stati Uniti.

Ripeto qui un concetto che ho chiaramente espresso sia all’atto dell’insediamento di Donald Trump, sia a seguito della violenta ondata di proteste che ne aveva accolto l’elezione: la Casa Bianca “non” è il Cremlino. Perché l’America è tutt’altro che un sistema oligarchico, grazie alla sua “balance of powers” istituzionale. Trump è al vertice della piramide degli apparati militari, amministrativi e di sicurezza e ha (una del)le chiavi per scatenare l’Armageddon nucleare ma, “non” è, e non sarà mai un uomo solo al comando. Nessun capo di Stato di un Paese democratico, infatti, può sostituirsi o surrogare i ministri di Giustizia, Interni, Affari esteri e Difesa. Tantomeno in America dove il Congresso ha sull’Esecutivo poteri di controllo che sono i più forti e i più incisivi dell’Occidente.

La premessa era indispensabile per cercare di capire chi, come e perché sta avvelenando i pozzi della convivenza civile americana, seminando vento per raccogliere (appunto) tempesta. Lasciamo la parola ai fatti, com’è giusto che sia. Trump è a rischio di “impeachment” perché i suoi avversari lo accusano di aver mentito alla Nazione e, per un presidente, non vi è nulla di più esecrabile del falso giuramento. Tutto ha inizio quando, giorni fa, Trump ha dato il benservito al direttore dell’Fbi, James Comey, per ragioni legate all’ufficio di quest’ultimo, che aveva indagato sui rapporti intrattenuti con la Russia di Vladimir Putin da Michael Flynn (già consigliere presidenziale per la sicurezza e, poi, tempestivamente sostituito). Gli oppositori di Trump sono venuti in possesso di una memoria di Comey in merito ai suoi incontri con il presidente, in cui si fa riferimento alle pressioni della Casa Bianca affinché l’Fbi rinunciasse a proseguire le sue indagini su Flynn. Nel tentativo di arginare per tempo la “tempest”, il viceministro della Giustizia, Rod Rosenstein, ha annunciato di recente la nomina dell’ex direttore dell’Fbi, Robert Mueller, come procuratore indipendente per indagare sulle connessioni tra la campagna presidenziale di Trump del 2016 e le interferenze russe in occasione delle elezioni. Cosa che, ovviamente, ha profondamente irritato Trump stesso.

Ovviamente, per portare al più presto alla sbarra il presidente, i democratici fanno ogni genere di pressione sui repubblicani, che hanno la maggioranza in entrambe le Camere e temono, mettendosi contro Trump, di perdere la poltrona alle legislative di “mid-term” che ci saranno tra circa un anno e mezzo. Per capire meglio come stanno le cose, sentiamo come la pone il Washington Post (filo democratico) del 18 maggio scorso: “Non c’è niente di peggio che il voler tirare per le lunghe le cose rallentando l’avvio dell’inchiesta su Trump. Ci sono già tutte le prove che servono per asserire la sua manifesta incapacità intellettuale e attitudinale a svolgere la carica di presidente. Non esistono dubbi, infatti, sulla sua indifferenza ad acquisire le conoscenze di base per esercitare la presidenza, arroccato com’è sulla convinzione che sia lecito improvvisare quando e come desidera. Si sente libero di violare la legge e di calpestare ogni codice etico quando ha voglia di farlo. [Trump] oltre a essere un inveterato mentitore, si è mostrato perfettamente a suo agio nel distruggere la credibilità di chiunque gli fosse accanto. Le dichiarazioni della Casa Bianca sono attendibili tanto quanto quelle del Cremlino”.

Stando alle analisi di illustri esperti di cose politiche americane, si sta svolgendo sotto i nostri occhi qualcosa che assomiglia come una goccia d’acqua al Watergate. Parlando di quest’ultimo, il Financial Times del 18 maggio scorso ricorda che: “Bastò un nulla perché il dubbio e il sospetto si diffondessero. Ma, una volta che accadde e divenne chiaro come Nixon fosse colpevole, fu l’inferno. E noi, oggi, stiamo assistendo a qualcosa di molto simile”.

Per la cronaca: come si fa a destituire un presidente? A norma del venticinquesimo emendamento della Costituzione americana introdotto nel 1967, un presidente in carica può essere rimosso se: a) è giudicato inidoneo a svolgere le funzioni del suo ufficio, cosa difficile dimostrare e che non ha precedenti nella storia americana; b) giudicato da una commissione parlamentare inquirente, è sottoposto a impeachment dal Parlamento con un voto a maggioranza semplice, che potrebbe condurre a un giudizio di colpevolezza. In quest’ultimo caso, la parola passa al Senato che può destituire il presidente con un voto a maggioranza qualificata dei due terzi. Complicato no? Quindi, per ora, Trump può ancora dormire sonni tranquilli.

Aggiornato il 20 maggio 2017 alle ore 16:59