Il Consiglio europeo di Bruxelles del 20 ottobre si è occupato della Siria. I ventisette Stati membri dell’Unione più il Regno Unito (che continua a partecipare, anche se prima o poi dovrebbe uscire), hanno approvato un documento in cui, tra l’altro, si legge: “L’Unione europea condanna con forza gli attacchi da parte del regime siriano e dei suoi alleati, in particolare la Russia, sui civili ad Aleppo”.
Perfetto - dirà l’osservatore superficiale - era il minimo che potessero scrivere. Sono rimasti delusi quanti premevano perché fossero approvate nuove sanzioni contro la Russia. Tra i falchi, si sono distinti la Francia ed il Regno Unito. Stati che, indipendentemente da cosa fa (più spesso non fa) l’Ue, non hanno mai smesso di condurre una propria attiva politica estera, tanto nel Medio Oriente quanto in Nord Africa. Il Regno Unito ha supportato i ribelli contro il regime di Assad fin dal loro primo manifestarsi. A Londra si sono riuniti i “Paesi amici della Siria” con una parola d’ordine che non potrebbe essere più chiara: “Per la Siria libera da Assad”. Evidentemente, la destabilizzazione della Siria non è stata perseguita soltanto da quei Paesi islamici di stretta ortodossia sunnita (in primo luogo, l’Arabia Saudita) che volevano aiutare i propri confratelli sunniti siriani ad emanciparsi dalla doppia asserita vergogna di un regime ateo e dell’egemonia di una minoranza sciita (gli Alauiti, di cui è espressione il presidente siriano Bashar al-Assad). No, la guerra di religione fra sunniti e sciiti ha la sua importanza; ma ci sono in gioco anche laicissimi interessi occidentali. Tanto è vero che - in nome della libertà, s’intende - Stati Uniti d’America e Regno Unito sono stati molto vicini ad un intervento militare diretto in Siria. La pietra d’inciampo fu un voto del Parlamento britannico: il 29 agosto del 2013 la Camera dei Comuni respinse, con il voto di 285 deputati contro 272, una mozione presentata dall’allora primo ministro David Cameron che affermava la necessità di un intervento armato in Siria, al fianco dell’alleato statunitense. Trenta deputati conservatori e nove deputati liberal-democratici, tutti in teoria facenti parte della maggioranza che esprimeva Cameron, in quell’occasione votarono in modo difforme rispetto ai partiti di appartenenza. Dal punto di vista di un liberale, quella fu una pagina da scrivere nei manuali che si occupano di teoria politica: a dimostrazione di quale sia la funzione di un libero Parlamento. Quando si dibatta di questioni davvero fondamentali, come decidere se dare avvio ad una guerra, non c’è vincolo di maggioranza che tenga e prevale l’esigenza di ogni singolo parlamentare di seguire la propria coscienza. Ecco perché quanti hanno avuto una formazione liberale, e le restano fedeli, si rifiutano di sacrificare ogni principio sull’altare dell’obiettivo della governabilità e tendono a difendere la funzionalità del Parlamento, che ha una sua propria ragion d’essere e deve mantenere una sua sfera di effettiva autonomia decisionale rispetto alle prerogative del Governo.
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, privato dell’appoggio del più naturale alleato, rinunciò a sua volta all’intervento diretto. Non, però, a quello indiretto: il che ha significato armare, addestrare e supportare i gruppi organizzati che in loco erano disposti a combattere in armi il regime di Assad. La stessa cosa hanno fatto gli inglesi. Si iniziò con il “Free Syrian Army”, costituito da ex ufficiali siriani ammutinatisi; fu presto chiaro, però, che i più determinati a combattere, ed i più capaci di fare proseliti, erano gli islamisti radicali. Per questa via, anche il Fronte di al-Nusra, filiazione di Al Qaida, fu reclutato alla causa occidentale. Senza capire che non si possono “usare” i fondamentalisti, perché questi perseguono e perseguiranno sempre la vera causa alla quale si sono consacrati. Quindi, al momento per loro opportuno, si riveleranno per quello che sono: nemici giurati dei valori dell’Occidente.
Fino a che la cosiddetta resistenza siriana continuò a conquistare porzioni sempre più vaste del territorio della Siria, incluse grandi città come Aleppo, nessuno ebbe ad eccepire alcunché dal punto di vista umanitario. Eppure, non è che i soldati e gli impiegati amministrativi restati fedeli a Bashar al-Assad fossero trattati con molti riguardi quando si dovevano arrendere alle soverchianti forze ribelli. Oggi non si parla d’altro che di efferati crimini di guerra imputati al regime siriano ed alla Russia che lo sostiene. Non si parla d’altro che del numero di bambini rimasti uccisi, o feriti, durante i bombardamenti aerei della parte della città di Aleppo ancora controllata dalla resistenza siriana. Tanto sdegno, ostentato da statunitensi, inglesi, francesi, risponde ad una ragione precisa: non vogliono che Assad riconquisti interamente Aleppo, perché questo rafforzerebbe enormemente la sua posizione, nella futura trattativa internazionale per decidere il destino della Siria.
Proviamo a fare un ragionamento molto semplice. Perché quei bambini stanno lì dove cadono le bombe? Se quei bambini avessero dei genitori, dei nonni, dei parenti, non sarebbe naturale aspettarsi che questi facessero di tutto per portarli in salvo, sottraendoli al pericolo? Ci sono due possibili risposte. O quei bambini sono orfani, ossia non hanno più madri, padri, nonni, persone adulte, che si preoccupino di tutelarli. Oppure - ed è ciò che penso - c’è qualcuno che vuole stiano lì a morire, proprio per trasformarli in una formidabile arma di propaganda. Considerato che i ribelli fondamentalisti islamici non dispongono di aviazione, né di adeguata contraerea, l’unica speranza che gli rimane, prima di soccombere definitivamente, è quella di suscitare lo sdegno della comunità internazionale per lo strazio dei bambini e della popolazione civile in genere, affinché altri si decidano ad intervenire per fermare gli aerei russi e siriani. Tutto ciò si chiama, tecnicamente, usare i bambini e la popolazione civile inerme come “scudi umani”. Ricordate l’imperativo pratico, formulato da Immanuel Kant ne la Fondazione della metafisica dei costumi: “Agisci in modo da considerare l’umanità, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre anche al tempo stesso come scopo, e mai come semplice mezzo”? Ebbene, chi usa la tecnica degli “scudi umani” non ha alcun rispetto per la dignità delle persone e tratta strumentalmente gli esseri umani, per esibirli come carne martoriata, quando ciò serva a gettare discredito sui nemici. Si tratta di tecniche già ampiamente sperimentate altrove, in precedenza. Pensiamo alla Striscia di Gaza, che dovrebbe essere amministrata dall’Autorità nazionale palestinese, e che, di fatto, è sotto il controllo degli estremisti di Hamas. Nel tempo, ci sono state polemiche infuocate contro gli israeliani perché i loro aerei hanno in più occasioni bombardato edifici di civile abitazione ed anche ospedali a Gaza. Gli israeliani reagivano al fatto che da Gaza venivano lanciati missili contro Israele. La terrazza di una comune casa, o ancora meglio di un ospedale, sembrava agli estremisti il luogo ideale per istallarvi una mitragliatrice, o un lancia-missili, proprio perché la prevedibile reazione israeliana avrebbe fatto di quella casa, o di quell’ospedale, un bersaglio, causando molte vittime civili. Da esibire poi come visibile testimonianza del martirio del popolo palestinese.
Ora i nodi stanno venendo al pettine: la coalizione internazionale anti-Isis ha circondato con le proprie truppe la città di Mosul, in Iraq. A Mosul risiedono, al momento, quasi due milioni di persone. Sono curioso di vedere come faranno le truppe direttamente schierate sul terreno dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, e in ogni caso dei loro alleati, a penetrare nella città di Mosul ed a conquistarla, senza determinare una crisi umanitaria, che si può immaginare di proporzioni certamente non inferiori a quella che è avvenuta ad Aleppo (dove, peraltro, due terzi della città sono già sotto il controllo del governo di Assad). L’Isis si avvarrà certamente della tecnica degli scudi umani: tenere in ostaggio più di un milione di persone è un’arma di pressione alla quale certamente non vorrà rinunciare. Che faranno i pacifisti? Ripeteranno i loro slogan: “fermate la violenza”, “pace subito, ad ogni costo”? Questo significherebbe, in pratica, lasciare che Mosul resti sotto il controllo dell’Isis e del sedicente Califfo. Esattamente come ad Aleppo imporre il divieto di sorvolo aereo ed il cessate il fuoco significherebbe lasciare lì i fondamentalisti islamici che vi operano.
Sostengo che occorra annientare il sedicente Stato islamico e tutte le organizzazioni di fondamentalisti islamici, comunque denominate, che perseguono i suoi medesimi obiettivi: imporre con la forza la sharia, ossia la legge islamica, a tutti gli abitanti; perseguitare tutti i non credenti nell’Islam rettamente inteso (islamici sciiti, cristiani di tutte le osservanze, altre minoranze religiose, pagani). Ribadisco - assumendomi la responsabilità morale di quanto affermo - che il regime siriano di Bashar al-Assad sia comunque da preferirsi ai fondamentalisti islamici. Auspico che la Siria, uno dei luoghi più importanti dell’intero mondo arabo, ricco di storia e di cultura, continui a sopravvivere ed anzi abbia l’opportunità di nuovamente prosperare. Che in Siria ritorni ad essere nuovamente possibile la pacifica coesistenza di tante religioni ed etnie, esattamente come è accaduto per secoli.
La Russia non è il nostro “nemico”, come vorrebbero i circoli oltranzisti della Nato ed i nazionalisti ucraini. Nell’appoggiare il governo siriano, la Russia difende i propri interessi: mantenere proprie basi navali sicure nel Mediterraneo e continuare ad avere influenza nel Medio Oriente. Interessi che non sono meno legittimi degli interessi strategici anglo-americani. Volere un conflitto con la Russia significherebbe rischiare davvero una guerra nucleare; soltanto i pazzi possono valutare seriamente tale scenario. Se poi la Cina si schierasse con la Russia, non è nemmeno sicuro che la Nato vincerebbe. Al contrario, chi auspica un nuovo ordine internazionale fondato su un reale rilancio dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, ha bisogno dell’apporto fattivo e responsabile della Russia.
Per una volta, lasciate dire a me, sempre pronto alle critiche nei confronti di Matteo Renzi, che la posizione assunta dal Governo italiano nell’ultimo Consiglio europeo è stata improntata ad una saggia prudenza. Niente nuove sanzioni nei confronti della Russia. Insistenza perché con essa si tenga aperto un dialogo costruttivo.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:08