Per quanto risolto in poche ore, quello tentato da un gruppo di militari ad Ankara non è stato un colpo di Stato da operetta, né tantomeno un “finto golpe” come qualcuno sta cercando di accreditare sui Media in queste ore. Lo dimostrano alcuni fatti inoppugnabili.
In primo luogo, a tentare di rovesciare Erdogan sono stati settori dell’Aereonautica e reparti di élite della I e II Armata dell’Esercito Turco, che operano solitamente nel contesto delle forze Nato. Non ci si trova, dunque, di fronte ad manipolo di golpisti improvvisati, bensì a forze ben addestrate e organizzate, che hanno posto in essere un piano preparato con cura. Infatti hanno occupato rapidamente la sede delle emittenti televisive nazionali, interrotto le comunicazioni telefoniche, bloccato – per quanto possibile – Internet ed i social network più diffusi. Contemporaneamente hanno chiuso gli Aeroporti, assunto il controllo dei Ponti sul Bosforo, attaccato il Parlamento ed il Palazzo presidenziale ad Ankara, colpito la residenza estiva dove Erdogan stava trascorrendo alcuni giorni di vacanza, e presidiato le principali piazze e luoghi simbolo tanto della Capitale quanto di Istanbul.
E per alcune ore la sensazione diffusa è stata che il golpe fosse riuscito, portando a definitiva conclusione la lunga stagione di governo dell’Akp e del suo Sultano. Lo dimostra il silenzio imbarazzato, gravido di attesa, delle principali Cancellerie Europee, in buona sostanza degli alleati della Turchia nella Nato, che si è protratto per molto, forse troppo tempo. Con Washington che, per bocca del Segretario di Stato John Kerry si è limitata ad auspicare una soluzione pacifica della crisi, e Berlino, Parigi, Londra che restavano mute come pesci nell’acquario, mentre le notizie si accavallavano e contraddicevano da un momento all’altro. E solo quando si è chiaramente compreso che il Governo aveva ripreso il controllo della situazione, mentre i militari ribelli si arrendevano, sono giunte al presidente turco le attestazioni di pubblica solidarietà da parte di quelli che sono i principali partner della Turchia. Un attendismo che ci fa comprendere come la sensazione diffusa nei vertici occidentali fosse che ad Ankara si stesse davvero configurando un Cambio di Regime. E che, pertanto, fosse più prudente stare alla finestra a guardare l’evolvere degli eventi. Prima di aprire bocca.
In realtà alla finestra, in quelle ore, erano davvero in molti. In primo luogo i vertici delle Forze armate turche, che non hanno partecipato al golpe, opera di una minoranza, ma si sono anche ben guardate dall’intervenire immediatamente per reprimerlo. Infatti, solo quando è stato chiaro che non solo Erdogan non era stato messo fuori gioco, ma anche che la gran parte del popolo turco, nelle sue diverse componenti sociali, era dalla sua parte, per prima la Marina militare, poi l’Esercito e l’Aviazione hanno confermato la loro fedeltà al Governo democraticamente eletto, e sono scese in campo. A quel punto, naturalmente, per i golpisti non vi è stata più alcuna speranza. La domanda che sorge, a questo punto, è come mai il tentativo di colpo di Stato sia fallito. Domanda che obbliga ad una premessa e ad una risposta articolata.
È stato subito chiaro che tra i pochi generali e la squadra di colonnelli insorti non vi era un leader designato. Nessuna figura di riferimento che apparisse in video per parlare alla Nazione e spiegare la situazione. I golpisti si sono infatti limitati ad annunciare la loro intenzione di “tutelare la Costituzione” e garantire libertà e democrazia. In buona sostanza questo tentato colpo di Stato si è mosso sulla scia di una tradizione che ha visto più volte, in un passato non lontanissimo, le Forze armate intervenire nella politica per obbligare un governo od un leader sgradito a lasciare il potere. Emblematico il precedente del 1971, quando il capo di Stato Maggiore, generale Tağmaç, consegnò all’allora primo ministro Suleyman Demirel un ultimatum che lo obbligò alle dimissioni, aprendo la strada ad un nuovo “governo di salvezza nazionale” guidato da Nihat Erim sotto tutela delle Forze armate. Dunque, come dimostrano anche altri episodi – buon ultimo il golpe del generale Evren nel 1980 – i colpi di Stato militari, in Turchia, sono sempre stati, per tradizione, posti in essere per conseguire un preciso obiettivo politico. Ed anche in questo caso l’intenzione dei congiurati era quella di eliminare l’ingombrante figura di Erdogan – o uccidendolo o, più probabilmente, obbligandolo a riparare all’estero – per procedere, poi, a nominare un governo provvisorio più controllabile. Presumibilmente un governo di coalizione che conciliasse settori meno intransigenti dello stesso Akp con i repubblicani kemalisti del Chp ed altre forze minori. Un governo che desse maggiori garanzie di rinsaldare i legami della Turchia con la Nato, e di adottare una politica più dura ed intransigente contro la guerriglia curda del Pkk. Infatti non è certo un caso che le forze impegnate nel golpe siano state anche quelle che erano maggiormente esposte, in questi mesi, nel contenere la guerriglia dei curdi. e che molti militari imputassero ad Erdogan una politica non abbastanza decisa in questo ambito, nonché le trattative condotte con il leader storico del Pkk, Abdullah Oçalan – detenuto in un carcere turco – che negli scorsi anni avevano fatto prospettare la concessione di ampie autonomie alle province curde. Accordi naufragati dopo che Oçalan ha perso il controllo del Pkk, e della sua fazione armata radicale il Tdk – responsabile di molti attentati in questi ultimi mesi – ed ai quali, comunque, i vertici militari erano sempre stati fermamente contrari.
Tuttavia, i golpisti hanno mancato l’obiettivo primario, non riuscendo ad eliminare Erdogan e sottovalutando tanto la sua determinazione a restare in Turchia e resistere, quanto il suo seguito tra le masse popolari. Che, incitate attraverso i social e, soprattutto, dai muezzin e dagli altoparlanti delle moschee, sono scese in piazza, opponendosi, in genere disarmate, ai militari. Che, salvo rare eccezioni, non hanno voluto sparare sulla folla; cosa che avrebbe portato ad un bagno di sangue e, probabilmente, aperto una lunga stagione di instabilità e guerra civile. Cosa che non era certo l’obiettivo dei congiurati. La cui azione alla fine ha reso Erdogan, l’amato/odiato Sultano di Ankara, più forte che mai. Ma questa è un’altra storia, che vedremo svilupparsi nelle prossime settimane...
(*) Think tank “Il Nodo di Gordio”
Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:47