Dov’è la nostra May?

Theresa May è il nuovo primo ministro inglese dopo David Cameron. Sarà responsabile dei negoziati per il distacco della Gran Bretagna dall’Unione europea. L’hanno definita “una donna maledettamente difficile” e “il prossimo che se ne dovrà rendere conto sarà Jean-Claude Juncker”, ha aggiunto lei. Juncker, da tempo fuori controllo, ha prospettato “un divorzio non consensuale tra coniugi che peraltro non si sono mai davvero amati”, e la May gli ha risposto che “farà meglio a prepararsi a un negoziato durissimo”. Per dimostrare di non volere tradire le aspettative degli inglesi dopo il referendum sulla Ue in cui la May si era schierata per il “Remain”, ha promesso di dare piena attuazione della Brexit: “Negozierò il miglior accordo per la Gran Bretagna e forgerò un nuovo ruolo per noi nel mondo”. “Brexit significa Brexit, sarà un successo e non ci sarà alcun tentativo di rimanere nella Ue”.

Se io fossi al governo d’Italia, oggi sarei a Londra a stringere un accordo con Theresa May, in attesa di fare asse e congratularmi della vittoria della Presidenza degli Stati Uniti con Donald Trump. Mi schiererei cioè con la May, figlia di un vicario anglicano e sposata a un banchiere dopo aver lavorato lei stessa alla Bank of England, abbandonando al suo destino l’altra figlia del prete tedesco, Angela Merkel, che è la causa della disintegrazione dell’Europa. L’Italia non è governata, urge darle un governo di persone elette legittimamente, costringendo Sergio Mattarella a far votare gli italiani. La May ha garantito una “leadership forte per traghettare il Paese in tempi difficili e incerti dal punto di vista economico e politico. C'è bisogno di una forte visione positiva per il futuro del Paese. Una visione di un Paese che non funziona per i pochi privilegiati, ma per ognuno di noi, perché daremo alle persone più controllo sulle loro vite. Ecco come insieme costruiremo un Regno Unito migliore”.

L’Italia deve fare altrettanto, ma, per farlo, deve ricomporsi riprendendo le redini dei propri poteri, a cominciare dal voto democratico. Mentre la situazione italiana è in antidemocratico stallo e gli inglesi si stanno riposizionando al meglio per valere nel mondo, si è svolto il dubbio vertice della Nato in Polonia. Sessantacinque delegazioni provenienti da ventotto Paesi dell’Alleanza, ventisei Paesi partner, oltre ai rappresentanti delle Nazioni Unite, dell’Unione europea e della Banca mondiale, si sono ritrovati al National Stadium di Varsavia poco tempo fa per ratificare gli obiettivi e le nuove strategie militari da adottare per rafforzare le capacità deterrenti sul versante orientale. La Nato, succube di Barack Obama fortunatamente a fine presidenza, sta prendendo una tranvata russa. Vladimir Putin non ha nessuna intenzione né di protrarre la guerra fredda né di attaccare e fare la guerra. Putin ha parlato con estrema apertura verso l’Occidente e Obama, chiedendo collaborazione anche contro il nemico comune che è dato dal terrorismo islamico. In cambio, la Nato sta predisponendo ed attuando piani ostili verso la Russia, non giustificati e che creeranno problemi ponendosi come la miccia sul terreno pronta ad esplodere. La Nato ha avviato cioè un processo di trasformazione, il medesimo perseguito durante la guerra fredda, nella direzione sbagliata. Ha cioè congelato tutte le cooperazioni di natura pratica con la Federazione russa dall’aprile del 2014, dopo l’annessione della Crimea. Ad oggi l’unico organo rimasto attivo in modo da poter mantenere aperti i canali di dialogo politico è il Consiglio Nato-Russia. Dal congelamento delle cooperazioni con la Russia ad oggi ci sono stati tre vertici – l’attuale è il terzo – Ha affermato il vicesegretario della Nato, Alexander Vershbow, che “è necessario ammettere che l’Alleanza ha avviato una concorrenza strategica a lungo termine con la Russia a causa delle differenze fondamentali in tutta Europa. Varsavia sarà l’occasione per adottare decisioni comuni sul rafforzamento dei confini ad est”.

Durante il vertice la Polonia ha chiesto ufficialmente alla Nato di schierare truppe fisse nel Paese, ipotizzando che da sole non siano tuttavia sufficienti in caso di un conflitto su larga scala. La Nato ha ufficializzato lo schieramento delle truppe in rotazione in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia, nell’ottica di una “difesa credibile contro un massiccio attacco convenzionale russo”. Gli Stati baltici hanno formalmente richiesto alla Nato di schierare truppe nei loro territori. L’Alleanza ha già approvato il dispiegamento di truppe nell’Europa orientale: quattro battaglioni operativi a protezione dei confini con la Russia. Nella prima turnazione, il Canada costituirà un gruppo da battaglia in Lettonia. La Germania darà vita ad un battaglione misto in collaborazione con Belgio e Paesi Bassi. Il battaglione del Regno Unito sarà in Estonia. Gli Stati Uniti, infine, manterranno un battaglione in Polonia. La dimensione complessiva della forza sarebbe di 4mila soldati. Il sistema di comando e controllo delle truppe spetterà al quartier generale supremo delle potenze alleate in Europa. I quattro battaglioni saranno operativi entro il 2017.

Così come era giusto ed opportuno che l’Europa si desse un esercito comune, così la Nato lo sta creando unendo le forze ma sbagliando nello schierarle contro la Federazione russa. Un errore strategico politico che non aiuta la composizione ed alleanza geopolitica del globo. La Federazione russa si è sempre opposta ad una ulteriore espansione della Nato, in particolare nella regione del Mar Baltico, minacciando di rischierare i missili tattici. La Nato ha invece ribadito l’apertura verso altri Paesi precisamente la Georgia, la Macedonia, la Bosnia e l’Ucraina. L’impegno di spesa per gli Alleati è fissato al 2 per cento, ma già si contano sulle dita di una mano i Paesi che raggiungeranno tale impegno di spesa. È stato anche approvato il rischieramento degli Awacs per monitorare la campagna militare contro lo Stato islamico che per gestire il flusso dei profughi provenienti dalla Siria. Nell’Europa tedesca, intanto, tutti i poteri bancari ed economici sono stati trasferiti a Francoforte alla Banca centrale europea che detta tempi pressanti per rafforzare le banche oppure per mandarle in fallimento, mentre il mercato si rifiuta di fornire capitali e gli Stati rimangono con le mani legate. La Germania blocca qualunque sistema comune di sostegno europeo perché pensa di dover pagare per i problemi degli altri. Dopo Brexit sono crollati i titoli bancari dell’Eurozona più che nel Regno Unito. C’è un problema grande come una casa nel sistema di regolazione degli istituti di credito europei, e dimostrazione ne è Banca Etruria, così come adesso Monte dei Paschi di Siena, e in arrivo Deutsche Bank.

Dalla crisi del 2008 l’Europa tedesca ha preso una strada diversa dagli Stati Uniti e cioè, mentre l’amministrazione statunitense ha obbligato le banche ad accettare denaro pubblico, quindi a ristrutturarsi in profondità, e oggi i loro crediti cattivi rappresentano una quota fisiologica, qui alcuni Paesi hanno affrontato costosi salvataggi pubblici, come la Germania, Olanda, Spagna, Irlanda; altri come l’Italia non l’hanno fatto, commettendo l’errore storico di procrastinare illudendosi che anche con banche zoppe la ripresa arrivasse e risolvesse tutto. L’intera classe dirigente italiana ha preferito non scoperchiare gli imbrogli e i verminai del credito, specie (ma non solo) in provincia. Tuttavia anche la strategia europea non sta funzionando. I crediti in default hanno appena smesso di crescere nell’area euro, mentre in America è in calo dal 2009.  

C’è la vigilanza a Francoforte della Bce e a Bruxelles è stato creato il Consiglio unico di risoluzione, che può decidere se una banca è in dissesto e staccarle la spina. Ma le norme in vigore dal primo gennaio di quest’anno, approvate a Bruxelles sia dal Governo di Napolitano/Letta che da quello di Napolitano/Renzi, vietano qualunque salvataggio pubblico e prima che un nuovo euro di aiuti possa entrare in una banca ci si rifà sugli azionisti, sugli obbligazionisti e anche sui depositi oltre i centomila euro.  

Così è emersa la deriva della Popolare Vicenza e di Veneto Banca obbligando gli istituti, oltre al Banco Popolare, a rafforzarsi sul mercato. Tutti i poteri decisionali sono stati trasferiti fuori dagli Stati e al centro del sistema, alla Bce che comanda di rafforzare le banche oppure di mandarle in fallimento, e se, come spesso è capitato, il mercato si rifiuta di fornire capitali freschi, gli Stati non possono fare alcunché. Le banche restano fragili e la Germania blocca qualunque sistema comune di sostegno europeo nel timore di dover pagare per i problemi degli altri. Da quando le nuove norme sono in vigore, gli investitori hanno risposto falcidiando il valore delle banche europee rendendo così ancora più ardue nuove ricapitalizzazioni sul mercato e quindi bloccando lo smaltimento dei crediti in default. Oggi Intesa Sanpaolo vale in Borsa appena il 3,8 per cento di tutti gli attivi nel suo bilancio, Bnp Paribas il 2,4 per cento, Unicredit l’1,2 per cento. Deutsche Bank lo 0,8 per cento e Mps lo 0,4 per cento.

Si consideri che quelle stesse norme europee permettono tuttora che tutti gli aiuti di Stato avviati in precedenza continuino anche adesso senza alcuna penalità. Così la Germania riesce a mantenere tranquillamente circa 440 miliardi di garanzie pubbliche sull’intero sistema bancario, mentre un solo euro di nuove garanzie sul Montepaschi implicherebbe perdite per decine di miliardi sui creditori e i depositanti. E si consideri anche che la messa in comune dei rischi bancari in Europa, sulla quale la Germania oggi frena, è già stata fatta, specificamente alla vigilia della crisi quando le banche tedesche, esposte su Spagna, Grecia e Irlanda per 320 miliardi di dollari, e quelle francesi per 227, hanno salvato tutto, perché tutti governi dell’area euro (Italia in primis) si sono tassati aumentando il proprio debito pubblico di quasi il 4 per cento per salvare i tre Paesi e le loro banche creditrici in Francia e Germania.

La lezione di Brexit adesso suonerà sulla testa di Napolitano e compagnia come un oggetto caduto sulle loro teste insipienti e incompetenti. L’Europa ha bisogno di riconfigurarsi politicamente ed economicamente. L’Europa tedesca è fallita, con l’Italia danneggiata politicamente ed economicamente come non mai.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:29