Contenimento di instabilità in Medio Oriente

Per mettere fine alla divisione della Libia ed avviare la lotta allo Stato Islamico, l’Onu e l’Ue stanno spingendo perché il Parlamento di Tobruk, che oggi attacca l’Italia con l’accusa alle navi militari di sconfinamento nelle acque, e il Congresso di Tripoli, controllato dai gruppi islamisti che ieri hanno distrutto il cimitero italiano, convergano su un negoziato per la formazione di un governo di unità nazionale. Intanto la Russia di Vladimir Putin, con la tragedia dell’aereo russo esploso sopra il Sinai rivendicata dall’Isis, ma esclusa da Russia ed Egitto, sta rafforzando i propri legami militari con l’Egitto del presidente Abdul Fattah al-Sisi, fornendo a quest’ultimo elicotteri, caccia, sistemi antiaerei, missili antinave, armi e munizioni. Si ricordi che gli Stati Uniti hanno interrotto gli aiuti all’Egitto nel 2012, dopo la deposizione e l’incarcerazione dell’ex presidente Mohamed Morsi legato ai Fratelli Musulmani.

L’Egitto di al-Sisi oggi ha quindi assicurato alla Russia piena collaborazione per combattere il terrorismo in Siria e nel Sinai. La Russia spara dal 30 settembre scorso in Siria per evitare un’altra Libia, cioè la prospettiva dell’affermarsi di un altro regime di fondamentalisti islamici a seguito di una caduta del regime di Assad. In cerca di una stabilizzazione possibile in Siria, Russia, Iran ed Egitto stanno collaborando per giungere ad una soluzione politica del conflitto siriano. Il vertice internazionale tenutosi di recente a Vienna, a cui hanno partecipato diciassette Stati, si è bloccato proprio sul “nodo” Assad in Siria, cioè sul ritenere o meno, come la Russia ritiene, che “non si possa pensare ad una soluzione politica senza avere un dialogo con il legittimo leader della Siria”, sono state le parole testualmente usate dal portavoce di Putin, Dmitry Peskov.

Intanto in Turchia ha trionfato elettoralmente Recep Erdogan, con la maggioranza assoluta al suo partito islamico Akp, con cui potrà adesso cambiare la Costituzione, realizzando il progetto presidenzialista onde acquisire poteri esecutivi. Tornata al voto dopo cinque mesi, la Turchia ha votato il partito di governo con il 50 per cento dei voti. I kemalisti del Partito repubblicano del popolo, cioè i laici, eredi di Ataturk, la principale forza politica di opposizione, si sono attestati al 25,3 per cento, mentre i filo-curdi del Partito democratico del popolo hanno perso tre punti e sono comunque riusciti a superare la soglia di sbarramento incassando il 10,4 per cento. Hanno votato più di 54 milioni di turchi dopo che, con il voto del 7 giugno scorso, l’Akp aveva perso la maggioranza assoluta per la prima volta dal 2002 e le trattative per un governo di coalizione erano fallite, spingendo Erdogan a convocare nuove elezioni. Al termine dello spoglio, le opposizioni ed i manifestanti curdi sono scesi infuriati in piazza nella provincia sud-orientale per esprimere la loro rabbia lanciando sassi contro gli agenti.

C’è oggi una Turchia islamica spaccata al suo interno con un secondo partito all’opposizione repubblicano progressista ed una minoranza curda inferocita. Erdogan, che durante la campagna elettorale ha fatto chiudere giornali e canali televisivi ostili all’Akp, oggi è allo stesso tempo, da una parte, in conflitto con i curdi, e, dall’altra, con la minaccia di sguinzagliare ed inviare centinaia di migliaia di profughi siriani rifugiati in Turchia, tiene in pugno l’Europa tedesca. La Turchia, prima della deriva autoritaria di Erdogan, avrebbe voluto essere il punto di riferimento di un islamismo democratico, da servire quale esempio per l’intero Medio Oriente, e argine per le pulsioni estremiste dell’Islam, con l’obiettivo di accelerare il cammino negoziale della Turchia verso l’ingresso quale membro effettivo dell’Unione europea. “Islam e terrorismo è un ossimoro: al massimo concedo di parlare di terrorismo religioso”, ha affermato tempo fa Erdogan.

Il Paese, oggi impaurito, in parte minacciato, gli ha rinnovato il credito.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:03