L’obiettivo di Haaretz era Netanyahu non la Nirenstein

In Israele, da quando il Paese nacque nel 1948, il patriottismo è sempre rimasto molto distinto dal nazionalismo. Anche perché le persecuzioni che portarono molti esponenti del sionismo dell’epoca a tentar l’avventura della fondazione di uno stato ebraico, tra tante speranze e mille dubbi dopo la fine della Seconda guerra mondiale, erano avvenute tutte nel nome dei nazionalismi fascisti, ma anche socialisti e comunisti, degli Anni Trenta.

Patriottismo in Israele significa quindi per lo più difendere il territorio dal terrorismo arabo islamico che da circa 70 anni ha come unico obbiettivo quello di cancellare il piccolo stato dalla carta geografica del Medio Oriente. Il quotidiano “Haaretz”, che potrebbe essere paragonato, in peggio, alla “Repubblica” superideologica degli anni Ottanta, quella che lottava contro Bettino Craxi e il benessere degli italiani in nome del moralismo giustizialista (e oggi ampiamente soppiantata da “Il Fatto Quotidiano”), rappresenta in Israele una poco lodevole eccezione.

Specie quando lo stato ebraico è rappresentato da un governo di centrodestra come attualmente accade con l’esecutivo di Benjamin Netanyahu. Solo partendo da questa premessa si può quindi capire lo scoppio del caso della giornalista Fiamma Nirenstein, contro la cui nomina a ambasciatore dello stato di Israele in Italia a partire dal prossimo giugno, è insorta una gran parte della comunità ebraica romana e di quella nazionale, nonché, inspiegabilmente, lo stesso attuale rabbino capo di Roma.

La Nirenstein si è in passato attirata critiche (e anche vignette anti semite in cui era rappresentata con il naso adunco, la svastica e la stella di Davide) per il solo fatto di essersi fatta eleggere in Forza Italia. E colpire lei oggi è solo una maniera indiretta di colpire l’esecutivo di Netanyahu. Magari per farsi belli agli occhi di gente come Obama, la Federica Mogherini e in ultima analisi lo stesso Renzi. Non considerando però così di recare un pessimo danno tanto alla causa dell’ebraismo italiano e mondiale quanto a quella di Israele.

Le voci di corridoio raccontano di rapporti difficili anche all’interno della comunità romana che più guarda con simpatia al centrodestra, quella di Pacifici per intendersi, dopo che Fiamma alle ultime elezioni si era candidata, perdendo, contro Ruth Mereghello, creatura dello stesso Pacifici e scelta come ideale prosecutrice del precedente suo doppio mandato come presidente. Inoltre lo stesso Pacifici aveva detto giorni orsono alla Adn Kronos che “Fiamma, che era consigliera della comunità, doveva informare la Dureghello e il Rabbino Capo dell'incarico che le era stato proposto e credo che questo abbia creato un un pò di gelo tra loro...”. Spiegando anche così la diffusione della notizia spifferata ad “Haaretz”, a sua volta interessato a danneggiare l’esecutivo Netanyahu. Una sorta di strumentalizzazione reciproca e consapevole.

Naturalmente, sic stantibus rebus, tra gli “ebrei de destra”, figuriamoci le cateratte che si sono aperte con quelli “de sinistra” dopo la diffusione, nove mesi prima dell’insediamento, della nuova nomina di ambasciatrice per la Nirenstein, che ha dovuto rinunciare anche alla cittadinanza italiana. Notizia diffusa in realtà con troppo anticipo, sempre secondo le dichiarazioni di Pacifici alla Adnkronos lo scorso 9 settembre, e in modo tale da potere essere interpretata come “non molto ripettosa” nei confronti dell’attuale ambasciatore in Italia Naor Gilon. Che era stato nominato nel 2012 e che era stato capo gabinetto agli esteri nel 2009 quando era ministro Avigdor Lieberman. Quanto al capo della comunità italiana degli ebrei, Renzo Gattegna, la sua ostilità alla Nirenstein si spiegherebbe da un punto di vista caratteriale, un po’ come per il rabbino capo di Roma. Che, essendo anche un ortodosso (qualcuno parla di “clericalismo ebraico”), di certo non poteva vedere di buon grado una donna laica e indipendente come Fiamma, che oltretutto nemmeno lo aveva avvisato prima.

Viste dall’esterno del micro cosmo delle comunità ebraiche italiane però, ora che le cose sembrano essersi rimesse a posto e che pace è stata fatta tra tutti i contendenti di una batracomiomachia che ha rischiato di nuocere solo a Netanyahu, per la gioia del giornale più anti patriottico, per non dire anti israeliano, di Israele, tutte queste polemiche sulla nomina della Nirenstein appaiono francamente inspiegabili. Con il senno di poi, anche avere parlato del problema della “doppia lealtà” da parte di cittadini italiani che abbiano anche la fede ebraica e siano in stretti contatti con Israele, ha avuto come unico effetto quello di rievocare i terribili fantasmi del passato. E dei pogrom anti semiti ottocenteschi in nome di questa accusa. Riportando alla mente le accuse del processo Dreyfus e i pretesti che si usavano da parte degli antisemiti francesi dopo che sotto Napoleone per la prima volta gli ebrei vennero parificati alle altre fedi.

E, il pensare che queste stesse argomentazioni dell’antisemitismo riciccino fuori oggi in una battaglia squisitamente politica, sia pure senza esclusione di colpi, tra fazioni politiche dell’ebraismo nazionale e internazionale, è francamente sconfortante. Roba che si può capire quando promana da gente come Moni Ovadia o dagli “ebrei contro l’occupazione”. Ma non dai vertici della Comunità ebraica di Roma o da quella nazionale.

@buffadimitri

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:42