Tripoli o non Tripoli, questo l’angoscioso dilemma che agita le notti insonni della politica italiana. Finora impantanata nelle piccole e misere beghe interne di un Paese mantenuto in vita dalla straordinaria macchina della distrazione di massa, con i suoi talk show tutti uguali e i suoi dibattiti su nulla e il contrario di nulla, atti solo a mascherare un immobilismo ormai sovrano.
E soprattutto il fatto che noi, come Italia, non decidiamo più niente di ciò che sarebbe importante ai fini del nostro futuro. Parlare della Libia, oggi, equivale a parlare di Cuba piuttosto che dell’Ucraina o della Nigeria, ogni questione a livello globale incide profondamente nella vita di tutti i giorni senza che veniamo interpellati; a Bruxelles si decide tutto, ormai, e non c’è più niente al di qua della frontiera che ricordi almeno vagamente una parvenza di sovranità nazionale. Ricordo nitidamente i caccia francesi che sorvolavano la nostra penisola quando Sarkozy, in tutta autonomia e citando una risoluzione Onu che sarebbe arrivata solo in seguito, attaccava la Libia di Gheddafi e riusciva dopo innumerevoli tentativi ad eliminare il nemico un tempo amico.
Come oggi vedo il successore di Sarkò, Hollande trattare la tregua fra Russia e Ucraina assieme ad Angela Merkel, come se l’Europa e i singoli Stati fossero cosa loro. C’è un’Europa di fatto e una di diritto, c’è chi sceglie per tutti e chi deve dire sempre sì, come se in qualcuno dei tanti trattati firmati e siglati dai membri dell’Unione si trovi scritto che la politica estera ed economica comune la fanno Berlino e Parigi. E questo comportamento appare evidente anche oggi, quando a pochi km dalle coste italiane prima che europee Isis prende il comando delle brigate jihadiste da anni presenti in Libia e minaccia direttamente il nostro Paese: noi non decidiamo, aspettiamo che altri decidano per noi. Del resto non siamo mica la Franca o la Germania o meno che mai l’Inghilterra.
Ci trastulliamo in un’attesa insopportabile, capace di inacidire ancora di più la ferita della perdita della sovranità a favore non di un organismo collegiale e politico bensì di un direttorio a due o a tre che decide per tutti e le cui scelte sono insindacabili. Oggi la Libia domani magari l’Algeria o chissà chi altro, sono lo specchio dello stato di vassallaggio feudale in cui siamo sprofondati, abbandonando colpevolmente l’eredità di Roma nel Mediterraneo e ciò che essa per secoli ha rappresentato in fatto di sicurezza e di crescita globale. Siamo nella condizione di essere divenuti una colonia europea, e da questo discende che Bruxelles potrebbe decidere di aiutarci come di sacrificarci come l’anello più debole della catena.
Che il gioco funziona così i paesi arabi lo sanno bene e il jihadismo che alle armi accosta la politica ad alti livelli, su questo punta per lanciare la sua offensiva. Da come andrà la vicenda libica capiremo se per sempre saremo destinati a rimanere vassalli o se decideremo infine di riprenderci la nostra libertà, chiudendo la porta in faccia ai diktat europei e scegliendo un corso finalmente nuovo. Anche se questo dovesse non far piacere a chi, finora, ha tramato alle nostre spalle per deprezzare e infine svendere la nostra amata Italia.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:01