L'Egitto, il cinema e la rivoluzione tradita

I giovani egiziani non sono rassegnati a un regime dei Fratelli Musulmani solo perché a Obama va bene così. E a quasi due anni dalla rivolta di piazza Tahrir sentono che la loro rivoluzione è stata tradita. Così anche nell’arte cinematografica esprimono questi concetti. E a volte il silenzio è d’oro per lamentare queste cose. Infatti il film “La”, che in arabo significa “no”, è una pellicola quasi senza parole ancorché infarcita di citazioni, da Nelson Mandela a Martin Luther King, evocati con scene di repertorio. Tutte belle parole che poi vengono commentate in modo sarcastico attraverso il geniale mimo muto dell’attore Hesham Abdel Hamid, che è anche il regista del film prodotto dalla giovane Nadia Soleiman.

Hamid è un regista e attore egiziano, che non ha esitato a scendere anche lui a piazza Tahrir mischiandosi alla plebe. Oggi i giovani intellettuali sono disillusi, capiscono che le forze reazionarie dell’islamismo al potere, per non parlare dei salafiti, stanno cercando di sfruttare le forze giovanili e la voglia di libertà per  coltivare i vecchi odi contro Israele e l’Occidente. Capri espiatori sempreverdi per non affrontare l’arretratezza culturale ed economica. «Vogliamo democrazia, libertà, uguaglianza e diritti civili nel nostro mondo arabo - dice alla stampa Abdel Hamid - senza le nostre rivoluzioni, non avremmo potuto far sentire la nostra voce, non avremmo potuto fare i nostri appelli». Ora però che le rivolte sono state tradite sente il dovere di lanciare un messaggio più forte. Forse anche per questo motivo che nella pellicola si è avvolto nella bandiera egiziana esultando in piazza. «Vedo una drastica trasformazione - dice ancora Abdel Hamid - ci sarà un totale cambiamento nel paese, nel modo di pensare ma anche per la cultura e le espressioni artistico-culturali». 

Per la cronaca sappiamo che Abdel Hamid è padre di tre figli, sposato con un’egiziana. Entrambi sono  buoni musulmani. Ma cosmopoliti, avendo vissuto tra Parigi, Mosca e Roma. L’internazionalismo diventa così un modo di rivolgere al mondo la propria speranza di riscatto: il “No” che è il titolo del film, in fondo, è una vera e propria presa di posizione politica contro chi ha già restaurato tutto il peggio di quel che c’era prima. Una specie di gattopardismo arabo islamico che questa pellicola che, da muta, parla più di quelle fin troppo prolisse di dialoghi superflui, denuncia all’Europa e all’America. La quale dopo avere appoggiato i Gheddafi, i Ben Alì e i Mubarak oggi ripete gli stessi errori fidandosi dei Morsi e dei Ghannouchi.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:29