Arafat morì di Aids, non fu avvelenato

«Quando chiesi ai medici di cosa era morto Abu Ammar (nome di battaglia di Arafat, ndr), rimasero per un po’ in silenzio e poi uno di loro mi disse: a essere onesti la Francia ci ha dato il rapporto medico che ha stabilito che la causa della morte di Abu Ammar era stata l’Aids».

I primi ad avere saputo, e tuttora sapere, che Yasser Arafat non morì affatto di un avvelenamento al polonio (storia vecchia già tirata fuori con poco successo all’indomani del decesso a Parigi nel novembre 2004) ma di una malattia infettiva trasmessa con rapporti sessuali a rischio, Aids probabilmente, sono i suoi stessi ex sodali dell’Anp. Vedere per credere un video della televisione degli Hezbollah Al Manar (insospettabile di simpatie israeliane) del luglio del 2007, in cui Ahmed Jibril, dice chiaramente che all’ospedale in cui morì il raiss i medici parlassero di Hiv.

Ahmed Jibril era all’epoca uno dei capi del Fplp, Fronte Popolare di Liberazione Palestinese. Il filmato è stato ripreso e diffuso da Memri, il notissimo istituto che monitora tutte le scempiaggini mediatiche del mondo arabo-islamico e le diffonde in lingua originale con i sottotitoli. Naturalmente è sempre possibile che l’ipotesi dell’avvelenamento, sponsorizzata da Al Jazeera, possa coesistere con il male contratto da Arafat per i suoi vizietti. Ion Pacepa, uno dei capi dei servizi rumeni sotto il regime di Ceaucescu, ha parlato dei costumi sessuali di Arafat nel libro “Red Horizons”. Il leader sarebbe stato ricattato dai servizi dell’Est perché filmato mentre abusava di un minorenne della squadra olimpica romena offertosi come esca. Siccome periodicamente la propaganda islamically correct in Europa, e quella dei palestinesi in Medio Oriente, tira fuori la storia dell’avvelenamento da parte del Mossad è bene informare i lettori delle circostanze che invece si tende a rimuovere. Per la cronaca Yasser Arafat morì l’11 novembre del 2004 alle tre e trenta del mattino in una clinica di Parigi dove era stato ricoverato un mese prima. 

Tutti ricorderanno, quando arrivarono in Tv le immagini di Arafat in pigiama, circondato dai suoi fedelissimi. Lo sguardo assente. Vicino a lui c’era Suha, la moglie che negli anni della Seconda Intifadah non era mai stata a Ramallah perché odiata dal suo popolo, dopo che si erano sparse le notizie della sua vita hollywoodiana, con la madre, a fare shopping da Saint Laurent con i soldi “distratti” ai palestinesi. Suha riuscì a convincere Arafat ad andare a Parigi per curarsi. Gli ultimi giorni fu ospite di Jacques Chirac, il presidente francese che amava gli arabi e faceva gaffe con gli ebrei. Poi, dopo la morte, Abu Mazen e la dirigenza nazionale dell’Anp si recarono in pellegrinaggio da quella donna per recuperare almeno un po’ dei quasi 200 milioni di euro, provenienti in massima parte dai soldi che venivano dati in aiuto al popolo palestinese da Europa e Stati Uniti. Pare che alla fine abbiano trovato un compromesso fifty-fifty. Il mito era già nella polvere. Ora, con questa inchiesta aperta dalla magistratura di Parigi, perlomeno si metterà un punto fermo su tutte le ipotesi complottistiche che alimentano l’antisemitismo sotto le mentite spoglie di odio per lo Stato ebraico: a Parigi dovranno tirare fuori le cartelle cliniche di Arafat.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:34