Lontana da l’Avana rutilante e festaiola cantata dalle note travolgenti del Buena Vista Social Club, lontana dalla capitale revolucionaria esaltata dalla propaganda del regime comunista, c’è la casa di Yoani Sanchez, la blogger dissidente cubana, sorvegliata speciale in patria e osannata all’estero come una delle voci più coraggiose della vera e sola Cuba Libre, che si oppone ai castristi. Yoani Sanchez vive in un modestissimo appartamento all’ultimo piano di un casermone in stile socialista, che si raggiunge dopo un viaggio della speranza a bordo di un ascensore che in cuor suo forse rimpiange i fasti dell’Unione Sovietica. È una sorta di catarsi, quell’ascesa di quattordici piani dagli inferi del socialismo reale all’oasi di libertà di casa Sanchez. E il premio è un paradisiaco bicchiere di acqua fresca e pura (merce rarissima e preziosa, a Cuba) che Yoani offre a chi viene a farle visita.
Così Augusta Montaruli, vicecapogruppo del Pdl nel consiglio regionale piemontese, nonché la più giovane consigliera in Regine, descrive a l’Opinione il suo incontro con la blogger dissidente nella calda estate cubana di questo 2012. «Ero in contatto con lei già da diversi anni» racconta. «Il suo blog viene tradotto sulle pagine de La Stampa, ed è proprio attraverso la redazione del quotidiano che, due o tre anni fa, l’abbiamo raggiunta per organizzare un collegamento telefonico durante una manifestazione universitaria». Poi, dopo la proposta del consigliere comunale torinese, Maurizio Marrone, di concedere la cittadinanza onoraria a Yoani, in provocatoria risposta al gemellaggio stretto dalla Provincia di Torino dell’ex presidente Mercedes Bresso con Cuba, la decisione di fare le valige e andare a conoscere la blogger di persona.
«Non è stato difficile incontrarla. Il suo appartamento è un continuo viavai di persone: parenti, amici, e altri attivisti come lei» spiega Montaruli. È quel margine di libertà apparente che il regime le concede, sapendo benissimo che qualunque cosa Yoani scriva o dica non circolerà mai per Cuba, allo stesso modo in cui tutto ciò che succede in girto per il mondo non raggiunge l’isola. Finché Yoani parla solo agli stranieri, non potrà mai essere un problema per lo strapotere dei castristi. Quando esce di casa, è praticamente blindata dalla sorveglianza della polizia. In molti, nel suo stesso caseggiato, le hanno ormai tolto il saluto da tempo. Troppo pericoloso essere anche solo un suo conoscente.
Uno strapotere che si manifesta in ogni singola azione del quotidiano. «Le recenti riforme liberalizzatrici hanno cambiato poco o nulla. Lo stato continua ad essere dappertutto, continua ad essere il solo che decide tutto» dice la consigliera piemontese. «Internet è un miraggio. Vi possono accedere solo i funzionari del governo, gli ospiti degli alberghi (tutti controllati dallo stato), e i clienti di internet point, anch’essi sorvegliatissimi». Come fa Yoani Sanchez a raccontare al mondo il vero volto della Cuba dell’ultimo Fidel? «Ha un iPhone - spiega Augusta Montaruli - con il quale invia brevi sms ai servizi di messaggeria di Facebook e Twitter, che i social network convertono automaticamente in altrettanti post e tweet. Quando scrive qualcosa sul suo blog - prosegue - detta il testo al telefono a qualche amico all’estero. In poche parole, lei può solo raccontare, ma non leggere le risposte di nessuno, né sapere quello che succede fuori da Cuba».
La cortina di silenzio e di censura da e per Cuba è così fitta da assumeretalvolta connotati grotteschi e imbarazzanti. Un esempio su tutti lo fa proprio Augusta: «La capitale è letteralmente tappezzata di manifesti propagandistici con lo slogan Sì, se puede, l’esatta traduzione in spagnolo dell’inglese Yes, we can. Ho chiesto a diversi cubani se sapevano che era il motto con cui Barak Obama è diventato presidente degli Stati Uniti. Sono caduti dalle nuvole. Tutti quanti credevano fosse uno slogan di Raul Castro». ma talvolta la censura assume connotati ben peggiori, e molto meno divertenti: «A L’Avana - ci dice la giovane consigliera regionale - non hanno la minima idea che Santiago, nel sud dell’isola, sia sconvolta da un focolaio di colera».
Ma anche se nella Cuba dell’era Raul sembra che tutto cambi perché nulla cambi, come nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, la speranza di Yoani e dei suoi amici dissidenti è dura a morire. Più forte della censura e del regime socialista. «Sull’isola, ormai, tutti pregano per la dipartita di Fidel Castro» spiega Montaruli. «Non c’è nessuno abbastanza carismatico da poter prendere veramente il suo posto alla guida di un regime che si fonda proprio sul carisma di un leader» dice. «Raul Castro è solo l’ombra del fratello. Chi comanda davvero è Alejandro, il figlio di Raul, che però non appare quasi mai in pubblico, non è una figura mediatica, non è un leader o un trascinatore di folle». L’economia traballa, la povertà è diffusissima, e la microcorruzione è diventata endemica a tutti i livelli, un espediente come un altro per arrotondare i magri salari. Poco alla volta, la dissidenza incontra quindi sempre più spazio. Molto presto, forse, verrà portato davanti al regime un trattato per il il riconoscimento dei diritti umani a Cuba. «Per Yoani quello potrebbe essere un piccolo terremoto sull’isola. Un barlume di speranza».
Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:40