![Difesa dell'Estonia odiata da Krugman](/media/1382136/02i.jpg)
Un modello di rinascita per l'Europa? È nel suo estremo oriente:
l'Estonia. La repubblica baltica, indipendente da appena 20 anni
dall'ex Unione Sovietica, ha tagliato la spesa pubblica, ha tenuto
le tasse basse ed è una delle poche nazioni dell'eurozona che
cresce economicamente. Sarà per questo preciso motivo che Paul
Krugman, keynesiano e sostenitore della ricetta "spendi e stampa
moneta", la odia. Il 6 giugno scorso ha dedicato un acidissimo post
del suo blog (ospite del New York Times), intitolato "Estonian
Rhapsody", in cui tenta di demolire, dati alla mano, il modello
estone.
«Dal momento che l'Estonia è diventata improvvisamente il poster da
appendere nelle camerette dei difensori dell'austerity - "sono
nell'eurozona e stanno crescendo!" - credo sia utile avere un
quadro di quello di cui stiamo parlando». Krugman pubblica, a
questo punto, un grafico (vedi l'immagine di sinistra) che mostra
l'andamento del Pil estone negli ultimi cinque anni. In cui
possiamo vedere una grande flessione, del -20%, dal 2007 al 2009 e
poi una certa ripresa nel periodo successivo, dal 2009 ad oggi, che
comunque non riesce a ripristinare i valori del 2007 (un Pil
inferiore all'8% rispetto a cinque anni fa). «Abbiamo un terribile
crollo, ai livelli della Depressione, seguito da un significativo,
ma ancora incompleto recupero. Meglio che nessun recupero, ovvio,
ma è questo quello che viene vantato come un trionfo
economico?».
Krugman non sceglie a caso il periodo analizzato: dal 2007 in poi,
l'Estonia ha effettuato grandi tagli alla spesa pubblica. In questo
modo, l'economista keynesiano vuol dimostrare che l'austerity non
sia una ricetta valida: non immunizza il sistema economico dagli
shock finanziari e non permette un pieno recupero. Siccome Krugman
non è un personaggio qualunque, ma è un Nobel per l'Economia,
citato quotidianamente e ispiratore delle politiche economiche di
mezza Europa, Toomas Hendrik Ilves, Presidente della Repubblica
dell'Estonia, pur essendo un socialdemocratico (dunque, in teoria,
più vicino a Krugman che non ai liberisti), non ha potuto fare a
meno di commentare su Twitter.
«Immagino che avere un Nobel per una teoria sul commercio,
autorizzi a pontificare anche in materia fiscale e dichiarare il
mio Paese una terra perduta». E, subito dopo: «Ma certo, come no?
Noi siamo solo dei buffi e stupidi europei orientali. Non
illuminati. Anche noi, un giorno, capiremo. Colpa nostra». E
ancora: «Insultate pure noi europei orientali: il nostro inglese è
pessimo, non rispondiamo mai, facciamo quel che hanno accettato che
facessimo e rieleggiamo governi responsabili». La reazione
immediata e autoironica del Presidente estone (che ha compiuto
tutta la sua carriera accademica negli Stati Uniti, comunque) ha
fatto sì che la blogosfera di sinistra desse ancor più ragione a
Krugman. "Ha colto nel segno, ha toccato un nervo scoperto", hanno
pensato in tanti.
È dovuto passare un po' di tempo, prima che, contro l'argomento
di Krugman e in difesa del modello estone, venissero presentate
delle tesi serie e complete. Il primo a farlo è stato l'economista
Daniel Mitchell (Cato Institute), che ha messo a nudo i dati
portati dal Nobel keynesiano. Dimostrando la sua disonestà
intellettuale. Krugman ha riportato dei dati corretti e ufficiali,
questo sì. Ma non ha presentato un quadro completo della crescita
estone. Limitandosi all'analisi del periodo 2007-2012, ha
selezionato solo il periodo in cui il Paese ha subito lo shock
della crisi finanziaria globale. Ma dimentica tutto il progresso
compiuto nel decennio precedente, grazie alle politiche di
"austerity" e bassi livelli di tassazione.
Se guardiamo l'andamento del Pil estone dal 1996 ad oggi, vediamo
infatti una crescita continua, praticamente vertiginosa, appena
intaccata da una flessione nel biennio 2008-2009 (vedi immagine di
destra). Basti pensare che nel 1996, quando sono iniziate le
politiche liberiste in Estonia, il Pil era di 6 miliardi di euro.
Nel 2007, alla vigilia della crisi, era arrivato a 13 miliardi di
euro: una crescita superiore al 100% in dieci anni. Nel 2009 è
sceso a 11 miliardi di euro. E oggi, nel primo semestre del 2012, è
già tornato a quota 12 miliardi di euro. In pratica, Krugman ha
mostrato dati veri, ma li ha estrapolati dal loro contesto e li ha
presentati in termini relativi (in rapporto al Pil del 2007,
pre-crisi), ottenendo l'effetto voluto da lui. L'economista
keynesiano è riuscito ad essere fazioso anche con i numeri.
L'Estonia, nonostante la crisi, rimane un modello per il resto dell'Ue. È nata nella povertà più nera, pari a quella di un Paese in via di sviluppo. Ed oggi è una piccola Germania nel Baltico. Il cambiamento è percepibile, anche a prima vista, per chiunque visiti quel Paese, noto in Italia solo per le sue belle ragazze. I paesaggi di desolazione e degrado sovietico che ancora la caratterizzavano negli anni '90, stanno scomparendo con una rapidità sorprendente, anno dopo anno, sostituiti da paesini rurali da sogno, alti grattacieli di cristallo ed infrastrutture degne della migliore Europa centrale. Fingere di non vedere questo progresso è solo degno di un nostalgico del vecchio ordine sovietico. O di economisti keynesiani che vogliono promuovere, a tutti i costi, la loro ricetta nichilista: spendi e stampa banconote, tanto domani saremo tutti morti.
Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:57