Difesa dell'Estonia odiata da Krugman

domenica 17 giugno 2012


Un modello di rinascita per l'Europa? È nel suo estremo oriente: l'Estonia. La repubblica baltica, indipendente da appena 20 anni dall'ex Unione Sovietica, ha tagliato la spesa pubblica, ha tenuto le tasse basse ed è una delle poche nazioni dell'eurozona che cresce economicamente. Sarà per questo preciso motivo che Paul Krugman, keynesiano e sostenitore della ricetta "spendi e stampa moneta", la odia. Il 6 giugno scorso ha dedicato un acidissimo post del suo blog (ospite del New York Times), intitolato "Estonian Rhapsody", in cui tenta di demolire, dati alla mano, il modello estone.

«Dal momento che l'Estonia è diventata improvvisamente il poster da appendere nelle camerette dei difensori dell'austerity - "sono nell'eurozona e stanno crescendo!" - credo sia utile avere un quadro di quello di cui stiamo parlando». Krugman pubblica, a questo punto, un grafico (vedi l'immagine di sinistra) che mostra l'andamento del Pil estone negli ultimi cinque anni. In cui possiamo vedere una grande flessione, del -20%, dal 2007 al 2009 e poi una certa ripresa nel periodo successivo, dal 2009 ad oggi, che comunque non riesce a ripristinare i valori del 2007 (un Pil inferiore all'8% rispetto a cinque anni fa). «Abbiamo un terribile crollo, ai livelli della Depressione, seguito da un significativo, ma ancora incompleto recupero. Meglio che nessun recupero, ovvio, ma è questo quello che viene vantato come un trionfo economico?».

Krugman non sceglie a caso il periodo analizzato: dal 2007 in poi, l'Estonia ha effettuato grandi tagli alla spesa pubblica. In questo modo, l'economista keynesiano vuol dimostrare che l'austerity non sia una ricetta valida: non immunizza il sistema economico dagli shock finanziari e non permette un pieno recupero. Siccome Krugman non è un personaggio qualunque, ma è un Nobel per l'Economia, citato quotidianamente e ispiratore delle politiche economiche di mezza Europa, Toomas Hendrik Ilves, Presidente della Repubblica dell'Estonia, pur essendo un socialdemocratico (dunque, in teoria, più vicino a Krugman che non ai liberisti), non ha potuto fare a meno di commentare su Twitter.

«Immagino che avere un Nobel per una teoria sul commercio, autorizzi a pontificare anche in materia fiscale e dichiarare il mio Paese una terra perduta». E, subito dopo: «Ma certo, come no? Noi siamo solo dei buffi e stupidi europei orientali. Non illuminati. Anche noi, un giorno, capiremo. Colpa nostra». E ancora: «Insultate pure noi europei orientali: il nostro inglese è pessimo, non rispondiamo mai, facciamo quel che hanno accettato che facessimo e rieleggiamo governi responsabili». La reazione immediata e autoironica del Presidente estone (che ha compiuto tutta la sua carriera accademica negli Stati Uniti, comunque) ha fatto sì che la blogosfera di sinistra desse ancor più ragione a Krugman. "Ha colto nel segno, ha toccato un nervo scoperto", hanno pensato in tanti.

È dovuto passare un po' di tempo, prima che, contro l'argomento di Krugman e in difesa del modello estone, venissero presentate delle tesi serie e complete. Il primo a farlo è stato l'economista Daniel Mitchell (Cato Institute), che ha messo a nudo i dati portati dal Nobel keynesiano. Dimostrando la sua disonestà intellettuale. Krugman ha riportato dei dati corretti e ufficiali, questo sì. Ma non ha presentato un quadro completo della crescita estone. Limitandosi all'analisi del periodo 2007-2012, ha selezionato solo il periodo in cui il Paese ha subito lo shock della crisi finanziaria globale. Ma dimentica tutto il progresso compiuto nel decennio precedente, grazie alle politiche di "austerity" e bassi livelli di tassazione.

Se guardiamo l'andamento del Pil estone dal 1996 ad oggi, vediamo infatti una crescita continua, praticamente vertiginosa, appena intaccata da una flessione nel biennio 2008-2009 (vedi immagine di destra). Basti pensare che nel 1996, quando sono iniziate le politiche liberiste in Estonia, il Pil era di 6 miliardi di euro. Nel 2007, alla vigilia della crisi, era arrivato a 13 miliardi di euro: una crescita superiore al 100% in dieci anni. Nel 2009 è sceso a 11 miliardi di euro. E oggi, nel primo semestre del 2012, è già tornato a quota 12 miliardi di euro. In pratica, Krugman ha mostrato dati veri, ma li ha estrapolati dal loro contesto e li ha presentati in termini relativi (in rapporto al Pil del 2007, pre-crisi), ottenendo l'effetto voluto da lui. L'economista keynesiano è riuscito ad essere fazioso anche con i numeri.

L'Estonia, nonostante la crisi, rimane un modello per il resto dell'Ue. È nata nella povertà più nera, pari a quella di un Paese in via di sviluppo. Ed oggi è una piccola Germania nel Baltico. Il cambiamento è percepibile, anche a prima vista, per chiunque visiti quel Paese, noto in Italia solo per le sue belle ragazze. I paesaggi di desolazione e degrado sovietico che ancora la caratterizzavano negli anni '90, stanno scomparendo con una rapidità sorprendente, anno dopo anno, sostituiti da paesini rurali da sogno, alti grattacieli di cristallo ed infrastrutture degne della migliore Europa centrale. Fingere di non vedere questo progresso è solo degno di un nostalgico del vecchio ordine sovietico. O di economisti keynesiani che vogliono promuovere, a tutti i costi, la loro ricetta nichilista: spendi e stampa banconote, tanto domani saremo tutti morti.


di Stefano Magni