La guerra di Al-Qaeda continua

Poteva essere un massacro. Di nuovo. Una cellula di Al Qaeda nella Penisola Arabica, basata nello Yemen, stava organizzando un attentato contro un aereo civile americano. Sarebbe stata utilizzata una tecnica simile al fallito attacco del Natale 2009, quando un singolo terrorista suicida, Faruk Abdulmutallab, con una bomba nascosta nelle sue mutande, cercò di farsi esplodere su un volo per Detroit. In quel caso la strage fu sventata solo per un colpo di fortuna: la bomba di Abdulmutallab non esplose per motivi tecnici.

In quest'ultimo caso, il piano terroristico sarebbe stato sventato alla sua origine, stando alle informazioni diffuse dalle autorità americane. Un infiltrato nella cellula di Al Qaeda avrebbe giocato un ruolo chiave, permettendo l'uccisione del suo capo, Fahd Al Quso, colpito da un drone americano nello Yemen, domenica. Il materiale esplosivo è stato portato negli Usa ed esaminato dall'Fbi.

Funzionari yemeniti hanno affermato di essere completamente all'oscuro del complotto in corso. Ma c'è da fare la tara sulle loro dichiarazioni, perché sono esposti in prima persona alle rappresaglie, in uno Yemen ancora fortemente anti-occidentale, rischierebbero la vita. I tempi di questa operazione coincidono con un altro evento molto pubblicizzato, il processo ai cinque uomini ritenuti responsabili dell'11 settembre: Khalid Sheik Mohammad, Ramzi Binalshib, Waled Bin Attash, Mustafa Ahmad al Hawsawi, Alì Abdalaziz Alì. Saranno giudicati da una corte marziale a Guantanamo. Il processo sta sollevando un vespaio di polemiche. Le riforme introdotte dal Congresso democratico nel 2009 hanno vietato l'uso delle testimonianze ottenuti nei "siti neri" della Cia. Possono essere usate ancora solo alcune forme di testimonianza rilasciate (o estorte) da sospetti jihadisti rapiti nelle ormai famose operazioni di "extraordinary rendition".

I difensori dei diritti umani in America contestano, però, la sede stessa del processo: chiedono di trasferirlo in un tribunale civile. Gli avvocati difensori dei cinque imputati stanno applicando tattiche dilatorie, mettono in discussione la legalità di tutto il procedimento e vorrebbero ottenere un rinvio all'anno prossimo. Dall'altra parte, le famiglie delle vittime dell'11 settembre presenti al dibattimento sono sconcertate dalle garanzie riservate a coloro che, con tutta probabilità, sono gli assassini dei loro cari, fra i 2967 caduti di New York e Washington. Sono addolorati nel vedere che gli imputati parlino fra loro, leggano i giornali, preghino e ignorino la corte, come riporta il corrispondente del "The Guardian". E sono costernati nel vedere quanta attenzione venga riservata loro: un avvocato difensore ha chiesto a tutte le donne dalla parte della pubblica accusa di indossare il velo. Per non indurre il suo cliente a commettere un peccato quando le guarda.

A giudicare da come viene gestito il processo, l'11 settembre sembra un evento lontano e privo di seguito. Forse nessuno si rende conto che la guerra, dichiarata da Al Qaeda, non è affatto finita. Che il rischio è ancora altissimo. E che, se non ci fosse un'attività militare costante, con i droni, le spie e le "eliminazioni mirate" (altro che processi civili!), molti altri uomini, donne e bambini perderebbero la vita, anche oggi stesso.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:45