Il futuro di Romney dipenderà dal vice

Tutti con Mitt Romney, nel bene e nel male. I Repubblicani, ormai, hanno scelto il loro candidato presidente. La sua nomination è solo una questione di tempo. E le elezioni primarie dello scorso 24 aprile sono state una conferma ulteriore di un risultato già arrivato al momento del ritiro di Rick Santorum, l'unico rivale interno degno di nota.

Sarebbe un grave errore, però, affermare che l'elettorato repubblicano abbia cambiato idea. Per tutta la campagna delle primarie, da gennaio ad oggi, Romney è stato giudicato eccessivamente "centrista", instabile nelle sue promesse elettorali e fin troppo laico. Le bordate sono partite soprattutto dai conservatori e dai libertari. Le elezioni del 24 aprile non sono affatto una buona dimostrazione che questo popolo, interno alla destra, abbia messo da parte i suoi dubbi. Gli stati in cui si è votato, infatti, sono tutti della costa orientale liberal, laica e pragmatica. Nel New York, Rhode Island e nel Connecticut, tradizionalmente, vince la sinistra. E anche i Repubblicani tendono a colorarsi di azzurro (democratico) per attirare il voto.

Santorum avrebbe avuto più chance solo nella Pennsylvania, stato che rappresenta in Senato. Ma il suo ritiro, di fronte a una possibile serie di batoste, ha chiuso la competizione anche da quelle parti. Sarebbe stata molto più interessante una vittoria di Romney nelle aree rurali e conservatrici del Sud e del MidWest. Ma non l'abbiamo vista, né la vedremo in futuro. Perché, dopo Santorum, l'altro suo rivale "di destra", Newt Gingrich, ha annunciato il suo ritiro il 25 aprile. Ron Paul, l'unico avversario rimasto in pista, è toppo estremo nella sua retorica libertaria per catturare il voto conservatore. Paul non ha mai sfondato, nonostante la sua vittoria tardiva (annunciata solo il 23 aprile) nel caucus del Minnesota. Di fatto, dalle prossime competizioni elettorali fino alla convention di Tampa, Romney si presenterà come un candidato "unico". Vincerà ai punti e per assenza di avversari. Ma senza aver conquistato il cuore e le menti del popolo conservatore.

Per colmare queste enormi lacune il candidato repubblicano dovrà fare scelte molto delicate. La prima e più importante: l'assunzione di un buon vicepresidente, per formare un "ticket" convincente per la Casa Bianca. Marco Rubio, senatore della Florida, è il nome che si ripete con più insistenza nei circoli conservatori. È emerso dal movimento Tea Party, dunque potrebbe portare i voti di quel popolo. È latino-americano e può conquistare il consenso di una popolazione latina in crescita. Ha un buon carisma, cosa che fa sempre bene in campagna elettorale. E in politica estera, pur deludendo gli isolazionisti, si è schierato per l'esportazione dei valori americani ovunque nel mondo, cosa che gli permetterà di guadagnare la stima dei neocon.

Rubio può essere la quadratura del cerchio. Ma ha un "difetto": è giovane. E come emerge chiaramente da un editoriale della National Review (a firma di Robert Costa), i Repubblicani sono ancora scottati dalla sconfitta causata dalla giovane e inesperta Sarah Palin, candidata vicepresidente di John McCain nel 2008. La scelta di un buon vice, dunque, non sarà affatto facile. Ma sarà quella che farà la differenza tra una vittoria e una sconfitta di Romney.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:57