venerdì 27 aprile 2012
Tutti con Mitt Romney, nel bene e nel male. I Repubblicani, ormai, hanno scelto il loro candidato presidente. La sua nomination è solo una questione di tempo. E le elezioni primarie dello scorso 24 aprile sono state una conferma ulteriore di un risultato già arrivato al momento del ritiro di Rick Santorum, l'unico rivale interno degno di nota.
Sarebbe un grave errore, però, affermare che l'elettorato
repubblicano abbia cambiato idea. Per tutta la campagna delle
primarie, da gennaio ad oggi, Romney è stato giudicato
eccessivamente "centrista", instabile nelle sue promesse elettorali
e fin troppo laico. Le bordate sono partite soprattutto dai
conservatori e dai libertari. Le elezioni del 24 aprile non sono
affatto una buona dimostrazione che questo popolo, interno alla
destra, abbia messo da parte i suoi dubbi. Gli stati in cui si è
votato, infatti, sono tutti della costa orientale liberal, laica e
pragmatica. Nel New York, Rhode Island e nel Connecticut,
tradizionalmente, vince la sinistra. E anche i Repubblicani tendono
a colorarsi di azzurro (democratico) per attirare il voto.
Santorum avrebbe avuto più chance solo nella Pennsylvania, stato
che rappresenta in Senato. Ma il suo ritiro, di fronte a una
possibile serie di batoste, ha chiuso la competizione anche da
quelle parti. Sarebbe stata molto più interessante una vittoria di
Romney nelle aree rurali e conservatrici del Sud e del MidWest. Ma
non l'abbiamo vista, né la vedremo in futuro. Perché, dopo
Santorum, l'altro suo rivale "di destra", Newt Gingrich, ha
annunciato il suo ritiro il 25 aprile. Ron Paul, l'unico avversario
rimasto in pista, è toppo estremo nella sua retorica libertaria per
catturare il voto conservatore. Paul non ha mai sfondato,
nonostante la sua vittoria tardiva (annunciata solo il 23 aprile)
nel caucus del Minnesota. Di fatto, dalle prossime competizioni
elettorali fino alla convention di Tampa, Romney si presenterà come
un candidato "unico". Vincerà ai punti e per assenza di avversari.
Ma senza aver conquistato il cuore e le menti del popolo
conservatore.
Per colmare queste enormi lacune il candidato repubblicano dovrà
fare scelte molto delicate. La prima e più importante: l'assunzione
di un buon vicepresidente, per formare un "ticket" convincente per
la Casa Bianca. Marco Rubio, senatore della Florida, è il nome che
si ripete con più insistenza nei circoli conservatori. È emerso dal
movimento Tea Party, dunque potrebbe portare i voti di quel popolo.
È latino-americano e può conquistare il consenso di una popolazione
latina in crescita. Ha un buon carisma, cosa che fa sempre bene in
campagna elettorale. E in politica estera, pur deludendo gli
isolazionisti, si è schierato per l'esportazione dei valori
americani ovunque nel mondo, cosa che gli permetterà di guadagnare
la stima dei neocon.
Rubio può essere la quadratura del cerchio. Ma ha un "difetto": è
giovane. E come emerge chiaramente da un editoriale della National
Review (a firma di Robert Costa), i Repubblicani sono ancora
scottati dalla sconfitta causata dalla giovane e inesperta Sarah
Palin, candidata vicepresidente di John McCain nel 2008. La scelta
di un buon vice, dunque, non sarà affatto facile. Ma sarà quella
che farà la differenza tra una vittoria e una sconfitta di
Romney.
di Stefano Magni