
Come riferiscono i migliori cronisti parlamentari, nel retrobottega della politica sono iniziati gli abboccamenti per la nuova legge elettorale. È una pessima consuetudine italiana rifare la legge elettorale a ridosso della fine della legislatura. Accade da circa 20 anni. Significa che i giocatori della partita aggiustano le regole in modo da vincere la prossima. Questa è la sospetta scorrettezza. Sennonché stavolta l’Unione europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) potrebbero bloccare l’andazzo. Una legge approvata nel corso dell’anno finale della legislatura sarebbe contraria ai principi giuridici comunitari. Infatti, secondo un parere del Consiglio d’Europa, una legge elettorale dovrebbe essere approvata con largo anticipo per consentire agli elettori e all’opinione pubblica di comprendere e familiarizzarsi col nuovo sistema. La stabilità del diritto elettorale rappresenta un valore costituzionale dell’Unione europea. A riguardo il radicale Mario Staderini ed altri hanno chiesto alla Cedu di dichiarare con sentenza che “la legge elettorale non può essere modificata nell’anno che precede il voto”. Se la Corte accoglierà il ricorso, il giudicato diverrà vincolante per l’Italia.
A questo punto le cose si complicano due volte. Innanzitutto, perché la sentenza è attesa entro l’autunno 2025, quest’anno. Sicché la nuova legge elettorale dovrebbe essere approvata dal Parlamento entro la primavera/estate del 2026, posto che la legislatura terminerà nel settembre 2027, salvo scioglimento anticipato, un ulteriore intrico. Poi, perché il presidente della Repubblica è prevedibile che non promulgherebbe una legge elettorale approvata nell’ultimo anno, nel caso in cui la Cedu ne sentenziasse l’illegittimità per contrasto con i principi del diritto comunitario. Ed è pure prevedibile che, anche in caso di sentenza contraria ai ricorrenti, Sergio Mattarella farebbe sentire il suo silenzioso potere di persuasione (moral suasion), se dovesse constatare che l’iter della nuova legge andasse per le lunghe e rischiasse di concludersi nell’anno sospetto. Il divieto di modificare la legge elettorale nell’anno precedente il voto, in effetti, prima che giuridico, è etico, cioè discende dalla ratio civilis o logos politikòs che, seppure non formalizzati, intridono il sistema del “governo rappresentativo” e quindi pure il nostro. Il divieto è giusto in sé, a prescindere da norme e sentenze.
Indubbiamente, il ricorso Staderini e altri ha messo alle strette, in senso formale, sostanziale, politico, i partiti di maggioranza e opposizione. Ancor più li costringerà la sentenza della Cedu se sarà favorevole ai ricorrenti. Intanto la Corte europea, nell’istruire il ricorso in preparazione della sentenza, ha posto all’Italia, tra altri, un quesito dirompente: le modifiche elettorali del 2019, 2020, 2022, queste ultime introdotte solo tre (3!) mesi prima del voto, hanno comportato cambiamenti al regime elettorale tali “da aver minato il rispetto e la fiducia dei ricorrenti nell’esistenza di garanzie di libere elezioni?” L’auspicio è che le forze parlamentari tengano in grande, dovuto conto la lezione del Porcellum e dell’Italicum, le due leggi elettorali bocciate in diritto dalla Consulta e in fatto dagli elettori, perciò diventati meno della metà.
La manipolazione delle leggi elettorali, approvata per convenienze politiche da rappresentanti in scadenza, distorce e adultera la rappresentanza mentre froda i rappresentati, spingendo verso una pseudo democrazia liberale. Etimologicamente e politicamente, elezione dovrebbe voler dire, assieme all’effettivo potere di selezione dei candidati, scegliere fisicamente le persone dei parlamentari, non semplicemente ratificarne l’altrui nomina.
Aggiornato il 08 agosto 2025 alle ore 10:13