Giggi er bullo versione Ue

Sassolini di Lehner

La retorica in eccesso è il barocco che degrada a rococò, producendo fastidio orlato di ridicolo. Il tronfio comunicato di Ursula von der Leyen, António Costa, Roberta Metsola stilato non pro Ucraina, bensì tifando per la persona di Volodymyr Zelenskyj (“La vostra dignità onora il coraggio del popolo ucraino. Siate forti, siate coraggiosi, siate impavidi. Non sei mai solo, caro presidente Zelens’kyj”), da un lato, produce comicità; dall’altro, più che ai tonitruanti eroi omerici, rimanda alla retorica fascista, “all’ora segnata dal destino”, alle “decisioni irrevocabili”, al “salutiamo alla voce il hrer”, a “secondo le leggi della morale fascista, quando si ha un amico si marcia con lui sino in fondo”, alla “parola d’ordine… sola, categorica, impegnativa”. Infine, a “vincere! E vinceremo!”. Dai retorici tre duci della Ue sino a Benito Mussolini, il dichiarato fine ultimo della guerra da guadagnare a tutti i costi è lo stesso: “dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia… all’Europa, al mondo” (cfr. discorso di Mussolini, 10 giugno 1940).

La similitudine ci sta tutta, considerando che nella Romania, telecomandata da Bruxelles, è stata dichiarata ex lege la sospensione fascistoide della democrazia. La caccia e la persecuzione ai danni del vincitore, che non deve vincere, Călin Georgescu, inoltre, fanno temere un nuovo delitto Matteotti. Induce, invece, alla risata Donald Tusk, scornato e ridotto a niente dall’omonimo statunitense, il quale per sondare gli umori polacchi preferì invitare alla Casa Bianca il più autorevole e più polacco Andrzej Sebastian Duda. Ebbene, Tusk, spinto a calci da Friedrich Merz, per la serie “vai avanti tu”, è stato il primo a portare i sali a Zelens’kyj, come a dire: tocca al trombato soccorrere il suonato. Olaf Scholz, altro trombato che pur continuerà a governare, e i due carenti di consensi, Mario Draghi ed Emmanuel Macron, adesso riscoprono la pace, la loro, quando per tre anni nulla fecero per evitare il massacro in divenire.

Intanto, Lucio Caracciolo, che un po’ s’intende di politica estera, osserva: “Io penso che sia stata una forma di suicidio assistito, quella di Zelens’kyj in queste ore a Washington. Tu non puoi andare da quello che bene o male ti ha tenuto in piedi tutti questi anni e fare quella specie di dialogo tra sordi con insulti reciproci”. Di contro, Roberto DAgostino, narciso della Ztl, che considera estremo oriente la Garbatella, digiuno di esteri e interpretando l’informazione come turpiloquio da stadio, dà del cornuto all’arbitro, pardon, chiama Donald Trump “pazzo della Casa Bianca”. Il vero derby, però, è Roberto-Giorgia Meloni, con invasione di campo dell’ultrà Roberto meritevole del daspo a vita: “E Giorgia Meloni? Quali sono le sue parole per Kiev? Eccole: Serve un immediato vertice tra Usa, europei e alleati. Me cojoni! Neanche davanti all’arroganza cieca di Trump, la Meloni ha il coraggio di parlare apertamente a favore della povera Ucraina. Questa non è politica: è indecenza”. E giù insulti, prima di attaccarsi nientemeno che a Gianfranco Fini e alle cazzullate di giornata.

Roberto soffre di giorgiafobia ab ingestis, ma almeno, sia pure a parolacce, qualche succosa notizia la fornisce. Sterilmente indecente, invece, è l’euro-propaganda che rappresenta la favola bella degli ucraini tutti pronti a morire per la patria. Dal 24 febbraio 2022 sino ad oggi sono state emanati divieti e legge marziale, per impedire renitenze alla leva e fughe allestero. Eppure, un gran numero di ucraini, che per motivi professionali, culturali, sportivi hanno goduto del permesso di oltrepassare i confini nazionali, non si sono proprio sognati di rientrare e versare il sangue per la causa. Solo nei primi mesi del 2024, più di 500 persone, espatriate per impegni culturali, hanno pensato bene di rimanere al sicuro, lontani dalla madre patria. Dopo l’ultimo uccel di bosco di nome Oleh Avdysh, addetto-stampa della squadra di calcio di Leopoli (in ritiro con la squadra in Turchia, non è più tornato), Zelens’kyj è stato costretto alla blindatura di marca sovietica dei confini, decretando la fine di tutte le missioni allestero. Insomma, non tutti sono “forti, coraggiosi, indomiti”. Anzi, l’occasione fa l’ucraino non ladro, ma domato e imbelle. Financo i prodi della prima ora mostrano scetticismo e sperano nell’armistizio.

A parole, i più combattivi sono i rappresentanti dellUnione europea delle chiacchiere, vedi l’estone Kaja Kallas, alta rappresentante della Ue (stessa carica del nostro epico Luigi Di Maio), che ha strenuamente proclamato: “È diventato chiaro che il mondo libero ha bisogno di un nuovo leader”. La baltica Kaja vorrebbe, come in Romania, annullare le elezioni e far prevalere con un golpe giudiziario il nulla verticale di Kamala Harris. Insomma, dall’Unione (che non c’è) fuoriescono continue minacce di quarantotto e Casamicciola 1883, con effetti comici neppure a livello plautino, tipo il fanfarone Pirgopolinice, presunto miles gloriosus, anzi, ben al di sotto delle smargiassate di Alvaro Vitali in Giggi er bullo. Cancellata ogni preoccupazione per il massacro continuo, ormai ben oltre il milione e mezzo di morti tra ucraini e russi, gli euro-guerrafondai, a difesa di chi lucra sulla strage continua, si avviano, ormai, a dichiarare guerra agli Stati Uniti dAmerica, sicuri di vincerla. Sono, infatti, gli euro-ridicoli del “vincere! E vinceremo!”.

Alla fine, coda tra le gambe, codesti succitati Aiace da operetta sottoscriveranno un loro privato armistizio e scapperanno, come fecero, il 9 settembre 1943, Vittorio Emanuele III, Pietro Badoglio e i nostri “indomitigenerali.

Aggiornato il 03 marzo 2025 alle ore 09:30