Kamala è in difficoltà, e si vede

A poco più di due settimane dal fatidico Election Day del 5 novembre in cui finalmente scopriremo a chi gli americani assegneranno la presidenza degli Stati Uniti per il prossimo quadriennio, impazza il toto-sondaggi, e non tutti così attendibili. Nell’Italia giornalisticamente assai provincialotta, si è portati a credere che le rilevazioni demoscopiche in America certifichino qualcosa di assolutamente veritiero, quasi fossero le tavole della Legge di Mosè, ma nella realtà le cose non stanno proprio così. Negli Stati Uniti, infatti, i sondaggi sono per lo più commissionati dai grandi network televisivi che, come è noto e abbiamo scritto più volte anche noi, sono prevalentemente di tendenza democratica. Alcuni di questi – giusto per citarne due: Abc e Cnn – sono talmente proni al partito dell’Asinello da esserne materialmente il megafono elettorale. Come dimenticare, giusto per rinfrescarsi un po’ la memoria, l’ultimo sondaggio fornito dalla Cnn a pochi giorni dal voto del 2016 che assegnava a Hillary Clinton ben nove punti di vantaggio su Donald Trump? Sappiamo tutti come andò a finire.

Si dirà: allora i seguaci del tycoon erano sottostimati (ed è in parte vero anche questo), oggi la profilazione elettorale dell’ex presidente è ampiamente connotata e stimabile. Giusto, ma solo in parte, perché è risaputo che in America gli indecisi – che ad oggi sono stimati ancora intorno al 5 per cento – spesso si celano dietro il dubbio ma in animo proprio hanno già chiaro il proprio orientamento elettorale. Indipendentemente da questo, la campagna elettorale Usa 2024 è senza ombra di dubbio la più pazza e incerta degli ultimi decenni. Un cambio di candidato in corsa – e per di più del presidente in carica – a tre mesi dal voto, il reiterato tentativo di assassinare il candidato repubblicano, una vicepresidente che diventa candidata per grazia ricevuta e pur essendo ancora materialmente seconda in capo prende le distanze dalla stessa amministrazione di cui fa parte da tre anni e mezzo, sono cose che davvero gli Americani non avevano mai visto. Tutto ciò ha portato ad un’altalena dei candidati nei sondaggi che effettivamente ha pochi precedenti.

Tuttavia, e su questo concordano tutti gli analisti americani e a loro si stanno accodando (probabilmente per non rischiare di fare figuracce) negli ultimi giorni anche i reporter dei giornaloni nostrani, grandi esperti del copia-incolla, la campagna elettorale di Kamala Harris sembra giunta ad un punto morto. Il sospiro di sollievo per essere riusciti a convincere il povero Joe Biden a fare un passo indietro aveva rilanciato la figura della vicepresidente, fino ad allora ritenuta inadeguata, portandola a ben sette punti di vantaggio sul rivale Trump. Subito dopo c’è stata la luna di miele agostana che ha coinciso con la Convention democratica di Chicago, spettacolo pirotecnico costellato e seguito da numerosi endorsement da parte di personaggi del mondo dello spettacolo ed influencer a favore della Harris, come pure dalla riapertura dei portafogli da parte dei grandi investitori democratici. Ma sono bastate poche settimane per sgonfiare quell’entusiasmo e già sul finire di settembre i due candidati erano giunti ad una sostanziale parità.

Situazione che, a voler dar credito ai sondaggi sfornati a ripetizione, sembra essere ancora tale. Se è vero che la media dei sondaggi formulata in questi giorni dal sito (molto attendibile) Real Clear Politics segna ancora un vantaggio su base nazionale alla Harris, che sarebbe attualmente al 49,2 per cento contro il 47,7 per cento di Donald Trump, c’è anche da considerare che alcune rilevazioni nello specifico fotografano una tendenza esattamente opposta. È il caso, per esempio, dell’ultimo sondaggio reso noto mercoledì scorso da Fox News che, per la prima volta da quando la Harris è in corsa, assegna a Donald Trump un vantaggio di due punti sulla sfidante democratica: 50 per cento a 48 per cento. E attenzione: pur essendo un network molto vicino ai repubblicani, Fox News non è mai stata tenera con l’ex presidente, anzi, lo ha spesso sottostimato rispetto a media concorrenti ben più schierati con i Dem. Un simile dato, quindi, non è da sottovalutare, e non solo questo. Perché fin dall’inizio della candidatura Harris gli stessi manager della sua campagna hanno ammesso che il sistema del Collegio elettorale avvantaggia i repubblicani e che lei ha bisogno di essere avanti almeno di 5 punti affinché il distacco possa avere un peso reale ai fini della vittoria.

Com’è arcinoto ormai almeno dalle Presidenziali del 2000, un candidato può vincere sotto il profilo puramente numerico su base nazionale, ma perdere la Casa Bianca proprio per la conformazione e l’attribuzione dei Grandi elettori di quel Collegio elettorale che fa tanta paura allo staff di Kamala Harris. Tutto si gioca in sette Stati chiave: Pennsylvania (dove ci sarebbe un’assoluta parità con tendenza Trump), Michigan, Wisconsin, North Carolina, Georgia (che regalò nel 2020 la vittoria a Biden ma dove Trump oggi sarebbe in vantaggio dell’1,2 per cento), Arizona e Nevada. Secondo molti analisti a Trump basterebbero Georgia e Pennsylvania – che con i suoi 19 Grandi elettori assegna il gruzzolo più importante di tutti e sette – per essere certo di tornare alla Casa Bianca. Si vedrà, ma quel che è evidente è che l’entusiasmo democratico delle prime settimane sembra ora svanito trasformandosi in una reale e percepibile difficoltà.

La stessa difficoltà che è apparsa ben evidente in Kamala Harris l’altro giorno, quando è stata intervistata da Bret Baier a Special Report su Fox News. La vicepresidente è apparsa nervosa e ovviamente poco a suo agio essendo nella tana del lupo, ma soprattutto scontrosa nei confronti del conduttore. A domande precise, come quella se sapesse dare un numero esatto o quanto meno approssimativo sul numero di immigrati clandestini entrati in America sotto la presidenza Biden, Harris ha iniziato come al solito a divagare e, incalzata da Baier sui numeri, ha dato in escandescenza. Ma anche quando il giornalista ha chiesto alla vicepresidente come mai l’attuale amministrazione non ha fatto nulla in tre anni e mezzo per arginare l’inflazione e lei oggi si ripromette invece di sovvertire i dati, Kamala, con la tipica smorfia di quando non le piace la domanda, ha risposto con un imbarazzante: “anche Donald Trump è in campagna elettorale da tre anni e mezzo”. Come se un candidato alla presidenza avesse gli stessi poteri esecutivi di un’amministrazione in carica; esilarante.

L’intervista si è conclusa con otto minuti di anticipo rispetto alle tempistiche concordate, con i quattro componenti senior dello staff di Harris che da dietro le telecamere si sbracciavano affinché la vicepresidente ponesse fine al disastro in diretta televisiva. Una scena pietosa. I sondaggi servono, soprattutto ai giornalisti per riempire paginate o intrattenere il pubblico, ma la realtà è ben diversa da quel che apparentemente viene descritta: la luna di miele di Kamala Harris con l’elettorato è finita, e già da un pezzo; la corsa per lei è ormai tutta in salita. Nel frattempo, pare che lo staff di Donald Trump stia già stilando una lista di possibili personalità da inserire nella prossima amministrazione, al contempo mettendo il veto su alcuni nomi di traditori che l’ex presidente non vuole più nemmeno sentire nominare. L’aria che tira sembra essere quella che noi auspichiamo. Siamo agli ultimi, decisivi, cento metri.

Aggiornato il 18 ottobre 2024 alle ore 13:27