Che non sarebbe stato un giorno di festa, uno di quelli tutti sorrisi e pacche sulle spalle, lo si era capito fin dalle prime ore della mattinata, quando Ursula von der Leyen ha fatto il suo ingresso nell’emiciclo di Strasburgo poco prima dell’inizio della seduta plenaria convocata per ratificare il via libera alla seconda Commissione da lei presieduta. La presidente, scura in volto, si è seduta immediatamente sullo scranno a lei riservato, avvolta nei pensieri e china sulle carte, probabilmente intenta a limare gli ultimi passaggi del discorso che avrebbe pronunciato di lì a poco. O forse l’umore visibilmente contrariato era dovuto a quel che già sapeva e che sarebbe divenuto di dominio pubblico di lì a pochi minuti: l’annuncio dell’astensione dell’Spd al voto e il no di diversi cani sciolti nei gruppi parlamentari che formalmente sostengono il suo bis alla guida del governo dell’Unione.
Ed in effetti von der Leyen non si era ancora recata al leggìo predisposto per il discorso di presentazione della sua nuova squadra che le agenzie tedesche, riprese a stretto giro da tutte le altre, battevano il comunicato firmato da René Repasi, presidente degli eurodeputati Spd, seconda componente (dopo quella italiana) in seno al gruppo dei socialisti europei, in cui annunciava che l’Spd non avrebbe dato l’ok alla Commissione. Repasi, stravolgendo i fragilissimi accordi raggiunti dopo settimane di tensione e di trattative tra le due maggiori componenti del Parlamento europeo, il Ppe e il Pse, ha dichiarato che “per la prima volta nella storia delle istituzioni comuni dell’Ue, un rappresentante di un partito post-fascista ha una posizione di leadership”. Già da queste parole il riferimento a Raffaele Fitto era evidentissimo. Non pago, l’esponente dei socialdemocratici tedeschi ha sottolineato che ciò “è stato possibile solo perché la presidente democristiana della Commissione ha promosso la proposta del governo italiano per la posizione di vicepresidente da attribuirsi a Raffaele Fitto”. Uno schiaffone senza precedenti a pochi minuti dalla votazione che avrebbe potuto mandare a casa Ursula ancora prima di insediarsi ufficialmente.
In molti, soprattutto tra gli analisti e i commentatori tedeschi, hanno evidenziato come questa mossa sia più una questione tutta riferibile al momento storico e politico che sta affrontando la Germania piuttosto che un problema di nomi a livello europeo. Com’è infatti ben noto, il governo del socialdemocratico Olaf Scholz è al capolinea − con elezioni anticipate già fissate per il 23 febbraio − dopo che la sua cosiddetta “maggioranza semaforo” formata dall’Spd, dai Liberali e dai Verdi ha perso la sua luce centrale, quella liberale dell’Fdp il cui leader Christian Lindner ha abbandonato meno di due settimane fa l’alleanza che sosteneva il cancelliere. Una questione, quindi, se non tutta tedesca, almeno in buona parte tedesca. Sarebbe però un discorso da far ridere i polli affermare che l’Spd abbia rischiato di far naufragare una Commissione europea presieduta da una donna tedesca solo per meri calcoli elettorali interni e, infatti, ci sono motivi molto più contorti, ma sempre molto attinenti alla politica interna della Germania, che hanno portato ai fatti di oggi.
Chi scrive, che è sommessamente abbastanza informato su quanto accade oltre i nostri confini nazionali, lo scorso 6 settembre (all’indomani della designazione di Fitto da parte del governo italiano) aveva redatto proprio per questo quotidiano un editoriale non a caso intitolato: “Polpetta avvelenata in salsa tedesca per Fitto”. In quell’articolo avevo ripercorso le vicissitudini, le lotte intestine, l’odio e le invidie tutte interne alla Cdu tedesca di cui von der Leyen fa parte per grazia ricevuta da Angela Merkel. Senza stare a riproporre oggi quelle situazioni e quelle meschinità umane, possiamo però affermare che il vero problema non è stato Fitto in quanto persona ed esponente politico di un partito che ufficialmente non sostiene la maggioranza Ursula, ma i comportamenti della presidente stessa. L’aver giocato su vari tavoli quando ancora cercava la riconferma alla guida della Commissione; l’aver pestato i piedi ai nemici storici interni del suo stesso partito, a cominciare da Friedrich Merz (tanto odiato dalla Merkel che per riproporsi e conquistare la presidenza della Cdu ha dovuto attendere che l’ex cancelliera si ritirasse dalla scena pubblica), oggi leader dei cristiano democratici tedeschi e probabile prossimo cancelliere; l’aver ammiccato per mesi alle destre sì più moderate (in particolare Meloni e il partito da lei presieduto, Ecr) rispetto ad altre assai più estremiste e sovraniste, ma sempre oltre il confine della Grande Coalizione che l’ha appoggiata nel suo primo mandato, ha creato un corto circuito tale per cui non erano in pochi a sperare nel fallimento della sua seconda Commissione, con il retrogusto anche un po’ sadico di vederla naufragare direttamente nel voto in aula.
Questo risultato, che in animo loro molti avevano auspicato, non è stato raggiunto, perché al termine della votazione finale la Commissione von der Leyen bis ha ottenuto la fiducia dell’Eurocamera con 370 sì, 282 no e 36 astensioni. Un risultato che però fa molto riflettere, non solo perché all’appello sono mancati ben 31 voti rispetto ai 401 che Ursula aveva conquistato in luglio sulla propria riconferma personale, ma anche perché quella votata oggi dal parlamento di Strasburgo è la maggioranza più risicata conquistata da una Commissione da quando esiste il voto dell’aula sul via libera al governo dell’Unione. Fragile quindi, fragilissimo è l’avvio di questo esecutivo europeo che a breve dovrà fare i conti con il prossimo presidente degli Stati Uniti Donald Trump, con la probabile fine del conflitto tra Russia e Ucraina ancora tutta da scrivere, con numerosi paesi membri dell’Unione in una tale ebollizione che potrebbe portare tra due settimane all’elezione di un presidente filorusso e anti Nato in Romania e un partito di estremissima destra come l’Afd ad essere la seconda forza politica della Germania alle imminenti elezioni anticipare di febbraio. Ursula inizia il suo secondo mandato, certo, ma chissà se i problemi politici che dovrà affrontare, sia in casa che tra i 27, non le facciano in cuor suo pensare: “Ma chi me lo ha fatto fare?”.
Aggiornato il 29 novembre 2024 alle ore 09:27