Scholz, un morto che cammina che l’Spd non sa come togliersi dai piedi

Non più tardi di due settimane fa avevo scritto della concreta possibilità che, con le elezioni nel Land del Brandeburgo (storica roccaforte dell’Spd) del 22 settembre, la testa del cancelliere Olaf Scholz potesse ruzzolare ben prima delle elezioni nazionali previste esattamente tra un anno. I sondaggi tedeschi, generalmente seri ed attendibili, da settimane certificavano il sorpasso anche lì del partito di estrema destra Alternative für Deutschland sui socialdemocratici. Dopo la vittoria in Turingia, dove il primo settembre AfD ha conquistato il 33,5 per cento, e il clamoroso risultato in Sassonia, in cui ha portato a casa un ragguardevole 30,5 per cento posizionandosi al secondo posto e a pochi decimali dalla Cdu, la prova di domenica scorsa in Brandeburgo era vista da tutti gli osservatori come l’ultima ciambella di salvataggio per la permanenza di Scholz alla Cancelleria.

Ieri, a seggi chiusi e con i risultati definitivi alla mano, molti organi d’informazione del Belpaese titolavano con enfasi che “Scholz ha vinto in Brandeburgo, la sua leadership è salva” (Ansa) o anche che “La vittoria di Scholz argina l’ondata nera di AfD” (L’Unità), e così via con questa chiave di lettura. Spiace sempre quando tocca ridimensionare l’entusiasmo dei colleghi, figuriamoci quando dobbiamo smentire totalmente notizie date da altri organi d’informazione. Personalmente ho sempre trovato il fact checking uno degli sport giornalistici più lisergici e noiosi che possano esistere nel mondo dell’informazione, ma spesso è necessario, più che smentire, correggere il tiro di qualche collega un po’ troppo euforico e male documentato fornendo informazioni più dettagliate, anche al fine di rendere più reale la situazione di cui si scrive e si parla. Partiamo quindi da un presupposto: il cancelliere tedesco Olaf Scholz è un morto che cammina, e ormai da tempo. Le elezioni in alcuni Land della Repubblica federale che si sono svolte nel mese di settembre sono solo la conferma di come la sua popolarità sia ai minimi storici da quando nel 2020 l’Spd vinse le elezioni generali e tornò alla guida della Germania dopo la lunga “era merkeliana” durata tre lustri.

I dati economici allarmanti, l’immigrazione fuori controllo e la mancanza di leader forti (ci tornerò più avanti) nei due partiti principali tedeschi, Spd e Cdu, hanno certificato negli ultimi mesi l’inarrestabile ascesa dell’estrema destra e del partito che la rappresenta, quell’AfD che fino a pochi giorni fa era quotata ben tre punti sopra (27 per cento contro 24 di Spd) perfino nella roccaforte socialdemocratica del Brandeburgo. Una sconfitta in questo Land, che circonda come una fortezza la città stato a sé stante di Berlino, avrebbe innescato certamente una crisi del governo nazionale senza precedenti e costretto alle dimissioni il cancelliere Scholz. Dimissioni, peraltro, che avrebbero probabilmente creato un’impasse difficilmente risolvibile visto che tra un anno esatto, come ricordato poco sopra, l’intera Germania tornerà alle urne. Come infatti ho già spiegato nell’editoriale precedente, la Costituzione tedesca prevede la “sfiducia costruttiva” e grazie o a causa di questa, dipende dai punti di vista, non è possibile mandare a casa un governo senza avere una maggioranza prestabilita e già formatasi prima di dare il foglio di via al capo del governo in carica.

Ed è ovvio che, al tramonto di questa turbolenta legislatura governata da un’alleanza tra Spd, Verdi e Fdp (nel frattempo Die Linke è evaporata a beneficio della nuova formazione Bsw di Sahra Wagenknecht) la Cdu di Friedrich Merz, che legge speranzoso i sondaggi favorevoli, non voglia nemmeno sentir parlare di un’eventuale Grande Coalizione. Cosa o chi, quindi, ha salvato il cancelliere tedesco ribaltando i pronostici che vedevano favorita anche in Brandeburgo l’AfD? Un solo uomo: il “governatore” locale socialdemocratico Dietmar Woidke che ha di fatto trasformato le elezioni nel Land che governa dal 2013 in una sorta di referendum sul suo operato. Molto amato ed apprezzato, il ministro-presidente del Brandeburgo (questa la denominazione corretta della carica che ricopre), nelle ultime settimane ha coraggiosamente cercato d’impedire l’avanzata dell’estrema destra ponendosi a capo della resistenza nel suo Stato in una sorta di all-in: o votate me, o la destra, ma se vince il nemico io mi ritiro per sempre dalla vita pubblica. Coraggioso e amato dal suo popolo, ha in effetti incarnato l’unica possibilità di arginare la concreta ascesa al potere di AfD anche nel Brandeburgo. Accordi di desistenza e una raccomandazione precisa, che il cancelliere federale Scholz non si facesse nemmeno vedere in campagna elettorale, hanno reso possibile l’insperato sorpasso: ad urne chiuse l’Spd è il primo partito del Land con il 30,7 per cento dei consensi contro il 29,6 per centro dell’ultradestra. Anche stavolta parliamo di decimali, ma quanto basta a salvare la faccia ed il governo sia del Land che dell’intero paese, almeno per il momento. Perché, se Scholz è salvo, grazie al fatto di essersi eclissato e di non averci messo la faccia, proprio quest’ultimo motivo è degno di una riflessione.

I socialdemocratici, nonostante ieri si siano precipitati a confermare che l’attuale cancelliere è confermato come candidato alle elezioni generali dell’anno prossimo, è in realtà la vera spina nel fianco del partito che rischia concretamente di dover cedere ben presto lo scettro del potere alla Cdu, che nel 2025 potrebbe tornare al governo dopo una parentesi rossa di soli cinque anni. Nel frattempo, però, c’è da dare un governo al Brandeburgo e con i risultati di ieri sembra una matassa non così facile da dipanare. Fino ad oggi, infatti, il popolarissimo Woidke ha governato il Land con una coalizione formata da Spd, Verdi e Cdu ma le elezioni di domenica scorsa hanno visto spazzare via i Verdi e crollare di ben tre punti il partito che fu di Merkel mentre la Bsw di Sahra Wagenknecht, al suo esordio elettorale nella Regione, ha conquistato ben 14 seggi nel parlamento locale, rendendosi di fatto indispensabile alla formazione di un nuovo governo locale. Allo stato attuale quella dell’Spd nel Brandeburgo è quindi una “vittoria di Pirro”, perché senza l’ultrasinistra di Bsw non avrebbe comunque la maggioranza (Spd + Cdu si fermano a 44 seggi nel parlamento locale contro lo stesso esatto numero di seggi delle ali estreme, AfD e Bsw). Con molta probabilità Woidke, l’unico vero vincitore di questa partita elettorale, dovrà acconciare una maggioranza con l’estrema sinistra e con la Cdu, un’accozzaglia che in confronto il nostro governo giallo-rosso Pd-M5S del 2019 troverebbe anche a posteriori una sua spiegabile ragione di vita, ma poi? Come fa giustamente notare oggi Tonia Mastrobuoni, brava collega inviata a Berlino per La Repubblica, sia Merz (Cdu) che Scholz (Spd) sono due leader fragili e con poco carisma, non amati neppure dalla rispettiva classe dirigente, figuriamoci dagli elettori. La storia insegna, un po’ dappertutto, che quando c’è una penuria di leader seri, capaci, amati, competenti, s’insinua quel populismo che da noi – prima che emergesse la figura di Giorgia Meloni - ha avuto le sembianze di un comico genovese, in Germania di un partito che parla di un necessario “nuovo olocausto” per far fronte all’immigrazione clandestina. Non per nulla dirigenti dei Fratelli d’Italia si sono affrettati in questi giorni a prendere le distanze da AfD, e non possiamo che esserne felici e sollevati anche se mai dubbio si è insinuato da questo punto di vista. La testa di Scholz è salva, per adesso, ma la possibilità concreta di un’ascesa dell’estrema destra al governo della Germania è una partita per il momento solo rimandata.

Aggiornato il 24 settembre 2024 alle ore 10:10