Dopo Renzi, è evaporato anche Calenda

Un brocardo latino, ancora attuale in diritto e spesso efficace anche in politica, recita: simul stabunt, vel simul cadent. Tradotto letteralmente significa “insieme staranno oppure insieme cadranno”. Come spesso accade, la sapienza degli antichi ci aiuta ancora oggi ad interpretare il presente e proprio questa espressione si attaglia a pennello sui due personaggi politici più egocentrici del panorama politico italiano degli ultimi anni: Matteo Renzi e il suo alter ego, Carlo Calenda.

Delle vicende che hanno portato alla caduta dall’Olimpo degli Dei (sul quale, a onore del vero, si era collocato da solo) dell’ex premier, oggi senatore semplice (ipse dixit) di Rignano, abbiamo scritto non più di una manciata di giorni fa, stavolta gli eventi ci costringono necessariamente a parlare del secondo.

Accade infatti che, come per una forma d’imperscrutabile destino, dopo quelle di Renzi anche le truppe parlamentari di Calenda stiano esodando in massa e un fuggi fuggi così non lo vedevamo dall’ultima corsa dei tori di Pamplona.
Nel giro di tre giorni hanno abbandonato la nave di Azione ben quattro parlamentari, e non si tratta di semplici peones ma di nomi pesanti, di fatto gli architravi con il maggior spessore dell’intero movimento calendiano.

Il primo a mollare gli ormeggi e tornare verso i lidi di Forza Italia  ̶  che lo ha visto crescere - è stato Enrico Costa, non certo uno qualunque. Già ministro per gli affari regionali nei governi Renzi e Gentiloni (quella era l’epoca in cui Costa aveva seguito Angelino Alfano nella sua epica piroetta che ha portato inevitabilmente a sbandare anche l’ex pupillo berlusconiano privo del quid), prima del ciaone a Calenda era nientemeno che il vicesegretario di Azione.

La vera botta per il leader è però arrivata nella giornata di martedì, quando un trio in gonnella non da poco ha simultaneamente salutato Carletto: Maria Stella Gelmini, Mara Carfagna e Giusy Versace. Per il momento tutte e tre pare confluiranno nei malmostosi gruppi misti di Camera e Senato (Versace e Gelmini siedono a Palazzo Madama, Carfagna a Montecitorio), ma c’è già chi scommette che il ritorno formale nella maggioranza di governo sia questione di giorni, forse transitando in Noi Moderati di Maurizio Lupi, vista l’apparente netta contrarietà di Antonio Tajani a riprendersi quelle che ritiene pressappoco come delle traditrici. Si vedrà.

Di certo c’è che la scelta di Calenda, al pari di quella di Renzi, di riavvicinarsi al centro sinistra occhieggiando ad un futuribile “campo largo” ha innescato una valanga in entrambi i partitini del fu Terzo Polo.

Ovviamente Calenda non l’ha presa bene e con la sua solita eleganza ha diffuso un comunicato non concordato con le parti in cui prima ha sottolineato che: “È grave passare dall’opposizione alla maggioranza a metà legislatura contravvenendo al mandato degli elettori” e poi, con grande garbo, rinfacciato di “averle salvate in un momento per loro di grande difficoltà politica”. Sull’ultima meschinità stendiamo un velo pietoso per carità di patria e rispetto del gentil sesso, sulla prima affermazione invece occorre soffermarsi.

Il coltissimo Calenda, colui che quotidianamente inonda i social network di consigli per delle buone letture (sempre robetta leggera tipo “Crimea, l’ultima crociata” o “Pericle e la nascita della democrazia”, solo per citare gli ultimi che Carlo ha letto sotto l’ombrellone), di foto dei suoi viaggi (quest’anno ci ha regalato 750 scatti in Turchia), dovrebbe tralasciare per un momento le civiltà antiche e ripassare la Costituzione, la quale, all’articolo 67, recita: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Intendiamoci, per gli esponenti della sinistra è sempre stato così: quando parlamentari eletti nel centrodestra passano dalla loro parte è un bene per la democrazia, quando fanno il percorso inverso è un vile tradimento della volontà popolare.

E dire che prima Silvio Berlusconi, poi Matteo Salvini ed infine Giorgia Meloni, hanno negli anni proposto di revisionare proprio quell’articolo 67, inserendo il vincolo di mandato per scongiurare ribaltoni o inciuci di Palazzo, ma sono sempre stati fermati dalle barricate parlamentari del centrosinistra e dalla minaccia di un Referendum se tale riforma costituzionale fosse stata votata dal centrodestra. Damnatio memoriae. Sia per Renzi che per Calenda è una strategia comune e reiterata nel tempo quella di camuffare personali fallimenti politici con un repentino cambio di idee e posizioni e se dovessimo compilare una lista delle loro piroette non basterebbe una settimana e decine di pagine, lo risparmiamo volentieri al lettore che ce ne sarà certamente grato.

Quello che però non possiamo mancare di sottolineare è che in Italia hanno finalmente tutti capito che aveva ragione Silvio Berlusconi, padre fondatore del bipolarismo nostrano, quando asseriva che: “L’unico centro moderato è Forza Italia”.

Lo hanno capito gli elettori, abortendo qualsiasi tentativo di fantomatici terzi poli, da quello di Mario Monti nel 2013 a quello di Renzi&Calenda (sia uniti che divisi in molecole subatomiche) in tempi più recenti, ma lo hanno finalmente capito anche coloro che negli anni si sono fatti abbindolare da un progetto che in Italia non ha sbocchi politici plausibili e l’emorragia parlamentare di Azione e Italia Viva lo sta testimoniando. O di qui, o di là: non c’è altra possibilità di sopravvivenza politica nel belpaese.

Silvio, ne siamo certi, da quella sua nuvoletta lassù, starà certamente annuendo soddisfatto, con quel suo tipico sorriso sornione che tanto ci manca.

Aggiornato il 19 settembre 2024 alle ore 09:40