Il ricordo di Lino Jannuzzi, negli anni delle guerre incivili

In una delle sue opere, sir Arthur Conan Doyle cita una frase di Gustave Flaubert a George Sand: “L’homme c’est rien, l’oeuvre c’est tout”. Ovvero: l’uomo è nulla, le sue opere sono tutto. Flaubert firmava le sue lettere alla Sand e alla di lei nipote, Caroline, in questo modo: Reverendo Padre Cruchard, direttore delle Dame della Disillusione. Credo che a Lino Jannuzzi piacesse molto la “disillusione” dell’autore di Madame Bovary. Nello stesso tempo, tutta la sua vita è stato un arco nel cielo: combatteva contro giganteschi mulini a vento e contro mostri orribili, sapendo che il suo era un volo impossibile.

Sand, con la saggezza femminile, così rispondeva a Flaubert: “Tu ami troppo la letteratura, lei ti ucciderà e tu non ucciderai la stupidità umana”. Anche quelle di Lino Jannuzzi erano fatiche di Sisifo? La sua fu una piccola crocifissione, apparentemente inutile come quella di Cristo: una missione per la verità dell’informazione che è stata la cifra di un giornalista troppo dimenticato da questo mondo stupido, ma che pure bisogna amare. Parliamo del più grande tra i giornalisti davvero scomodi italiani. Ebbene, un giornalista vero, se è persona che ama la verità come richiede il mestiere, deve essere un uomo-salmone, uno che va controcorrente, un anticonformista; a costo di sembrare un dandy, a costo di essere ignorato, isolato, e finire in uno zoo virtuale per umani, dietro delle sbarre su cui è scritto “è un brav’uomo”. Ossia “era un bravo giornalista”.

Deceduto a 96 anni, Jannuzzi ha visto ogni sfaccettatura della politica e della società italiane. Diventò capo della redazione di politica interna del settimanale L’Espresso, fondato da Eugenio Scalfari e Arrigo Benedetti nel 1955, e sponsorizzato da Adriano Olivetti. Nel 1967 Scalfari e Jannuzzi pubblicarono un articolo epocale dal titolo “1964, Segni e de Lorenzo tentarono il colpo di Stato”. Durò circa dieci anni il periodo dei golpe e dei golpetti di matrice militare e di ultradestra. Si ricordano le vicende del Servizio di informazioni militare o Sifar, poi il Piano Solo del generale Giovanni De Lorenzo, poi il golpe del principe Junio Valerio Borghese del 1970 e infine il caso della “Rosa dei venti” del 1973.

Va altrimenti rammentato che in quegli anni l’Italia viveva un clima di “guerriglia incivile”, da cui venivano le Brigate rosse, un magma cui non era estraneo l’interesse dell’Unione Sovietica e di parte dei partiti di sinistra. Il risultato fu un continuo allarmismo sul “fascismo incombente”, argomento del quale è importante tener conto, quando si parla di reazione al “comunismo incombente”. Ad esempio, il quotidiano Paese Sera era collegato – volente o nolente che fosse – alla residentura romana del Kgb. Il film Vogliamo i colonnelli di Mario Monicelli racconta, a volte in forma troppo caricaturale, la vicenda di notti in cui si sentirono sciabole e rumore di blindati, ma in cui poi tutto rientrò nella eterna commedia dei tarallucci e vino. Il Presidente della Repubblica, Antonio Segni, forse coinvolto a torto in quella tempesta di scandali politici, venne assolto.

Contro Jannuzzi e Scalfari sul caso Sifar e il Piano Solo invece ci furono inchieste e condanne (a Jannuzzi fu comminata una pena di 13 mesi, nonostante una richiesta di assoluzione fatta dal pm), condanne evitate grazie alla trovata del Partito socialista italiano di Pietro Nenni, che candidò come parlamentari i due giornalisti, ottenendo per loro l’immunità (comunque in seguito furono assolti). Uscito dal clima massimalista e dalle guerre incivili di propaganda degli anni Settanta, Jannuzzi divenne direttore di Radio Radicale. Furono epocali i suoi interventi sul processo Borsellino, diventato un processo contro generali e politici e non contro i veri responsabili della strage (e i loro ancora invisibili mandanti). Naturalmente, nell’Italia illiberale di sempre fu incarcerato e poi graziato dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi per le sue accuse ai giudici sul caso Enzo Tortora, una delle pagine più nere della magistratura, della politica e del giornalismo del nostro Paese (ricordo che La Repubblica – almeno all’inizio – non fu affatto innocentista).

Incontrai Jannuzzi nel 2006 e gli strinsi la mano, complimentandomi con lui per il suo lavoro di informazione. Lo avevo incrociato nel cortile del Palazzo della Sapienza, su Corso del Rinascimento, a Roma, uno dei tesori artistici della nostra straordinaria quanto maltrattata città. Al Palazzo della Sapienza hanno sede gli Archivi di Stato. E penso che in quelle aule (il Palazzo fu sede universitaria) Lino abbia trascorso molto tempo a caccia di notizie. George Sand così rispondeva a Gustave Flaubert: “Noi passiamo come delle ombre su uno sfondo di nuvole che il sole trapassa appena e di rado, e gridiamo senza posa contro quel sole che nulla può. È nostro compito sgombrare il cielo dalle nuvole”. Jannuzzi, tra illuminazioni ed errori, qualche nuvola l’ha spazzata. È stato un soffio, ma quello basterà. Riposa in pace.

Aggiornato il 08 agosto 2024 alle ore 14:19