Europee: un voto per cambiare, un voto per mandarli a casa

Riccardo Magi, segretario di +Europa, si è preso il disturbo di andare fino in Albania a insultare la premier Giorgia Meloni che era lì in veste ufficiale. La gazzarra inscenata da Magi ha riguardato la questione dell’accordo stipulato tra Roma e Tirana per il trasferimento di una quota di immigrati clandestini dall’Italia agli hotspot installati su suolo albanese ma realizzati, pagati e gestiti dagli organismi di sicurezza italiani – soluzione che ha entusiasmato i partner europei – che, evidentemente, al parlamentare e ai suoi sodali non va a genio. É stata una provocazione disgustosa che è servita soltanto a fornire l’ennesima prova, qualora ve ne fosse stato bisogno, del fatto che il nostro Paese soffra di un grave male: avere una sinistra pseudodemocratica che è antitaliana. Ma in quale altro Paese dell’Occidente sviluppato si vede un parlamentare attaccare un rappresentante della propria nazione fuori dei confini dello Stato? Forse solo nel caso di sanguinarie satrapie africane o asiatiche. Vogliamo paragonare Giorgia Meloni a Jean-Bedel Bokassa che, autoproclamatosi imperatore dell’Impero Centroafricano alla fine degli anni Settanta, fu accusato di cannibalismo ai danni dei suoi avversari politici? Pensiamo che sia troppo anche per i “nemici della nazione” che stanno a sinistra.

Il dramma reale è che – ne prendano coscienza i moderati che guardano alla destra con eccessiva cautela – non è la persona di Giorgia Meloni in sé a essere il bersaglio, ma la democrazia nel suo insieme di regole e ritualità. Stavolta, però, il nemico non viene dall’esterno; non sta, come Annibale, valicando le Alpi. Il nemico con cui abbiamo a che fare ha piuttosto l’aspetto di un virus, un microorganismo che è invisibile al microscopio ottico della buonafede dell’italiano medio, ma che una volta penetrato in un corpo sano ha la forza di distruggerlo dall’interno. È una specie di Covid, programmato per uccidere la libertà. Tale specialissimo virus, non essendo stato studiato e classificato dalla medicina, non ha un nome scientifico. Tuttavia, nella vulgata mediatica è noto come “ideologia progressista”. Il virus nasce e si sviluppa dalla mutazione genetica del concetto di progresso. La forma nella quale si manifesta è quella della sua ineluttabilità nel divenire della Storia. La rappresentazione grafica: una semiretta proiettata verso l’infinito.

La sintomatologia è quella tipica di una patologia cronica che si manifesta, nella fase acuta, mediante la devastazione del tessuto (sociale) colpito. È silente, come il diabete. E come il diabete quando non appropriatamente curato, distrugge, uno a uno, tutti gli organi vitali del corpo comunitario. Porta alla paralisi, prima del pensiero individuale, poi della dialettica democratica. I segni del manifestarsi del morbo, percepibili ictu oculi, sono inequivocabili. Massificazione del costume sociale, denigrazione dei valori perenni su cui fonda l’identità di un popolo, negazione della storia della civiltà da cui nasce e si delinea la dimensione ideale della nazione; imposizione di un’unica morale pubblica; annullamento del diritto di critica, criminalizzazione del pensiero divergente, omologazione del linguaggio, esaltazione del conformismo acritico; manipolazione della sfera etica privata, codificazione di nuovi stilemi per la comunità ubbidiente; sacralizzazione delle fonti autorizzate a rilasciare frazioni di sedicenti verità, rivelate per il tramite delle cavità orali degli intellettuali a ciò espressamente delegati da un potere invisibile, oscuro ma pervasivo di ogni interstizio del tessuto sociale.

Sacerdoti e vestali di questa religione pseudo-misterica sono i medesimi che, come in un romanzo di Hermann Hesse, sanno per mestiere dissimulare la forza e l’ampiezza del loro potere. Tale è, nella realtà rovesciata che stiamo vivendo, la carta d’identità della sinistra vocata al progressismo ideologico. Essa si avvale del supporto di un mezzo di coercizione delle libertà piuttosto efficace: il “politicamente corretto”. La sua volontà egemonica risponde a una tautologia: è vera, perché è vera in sé. Il suo orizzonte escatologico confina con l’eternità. La sua morbosità è soffocante. Se questa è la diagnosi, qual è la cura? L’unica modalità conosciuta per sconfiggere questo virus sta nell’esercizio della democrazia. A maggior ragione se, come in ogni lotta per la libertà che si rispetti, si scopra che sono tanti coloro che non ci stanno a subire l’ingiusta legge del virus e si ribellano. Sono gli insorgenti. Resistenti civili di una guerra di liberazione combattuta con impari mezzi, nondimeno degna di essere affrontata e vinta. E, come in ogni lotta che si rispetti, vi si ritrovano personaggi esemplari i quali, con la loro determinazione, finiscono per diventare eroi, simboli da emulare, fonti di ispirazione al combattimento per gli incerti e per i dubbiosi, preoccupati dal perdere le tranquillità acquisite ma, nel contempo, istintivamente desiderosi di non darla vinta agli oppressori.

In un recente articolo su L’Opinione ne abbiamo omaggiato alcuni. Non basta. Vale ancora l’ammonimento che Edmund Burke rivolse agli uomini liberi: Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all’azione. È una lezione che tutti noi, amanti della libertà, dovremmo ricordare nel momento in cui siamo chiamati alle armi del voto democratico per fare la nostra parte in difesa di ciò in cui crediamo, del mondo che desideriamo, della vita che vogliamo, del futuro che sogniamo. Domani e dopodomani saranno occasioni preziose per fare il nostro dovere. Ci rivolgiamo a coloro che si dicono di destra e nemici giurati dei negatori delle altrui libertà: non è il momento di marcare visita e disertare il seggio. L’Italia è inserita a pieno titolo in un contesto comunitario europeo che, per le leggi che si è dato, sta progressivamente, e negativamente, condizionando le vite delle persone sottoposte al suo dominio. Ora, se questo è il bastimento su cui, piaccia o no, ci ritroviamo imbarcati, occorre che al timone vi siano le persone giuste. Finora, non è stato così. La rotta per mandarci a sbattere, per farci naufragare, l’hanno tracciata coloro che provano un insano piacere nel vedere mortificata e annichilita la civiltà dalla quale discendiamo, l’identità con la quale vogliamo caratterizzarci nello stare al mondo. Questo nemico è la sinistra. Ci ha stravolto la vita con la sua apocalittica visione del futuro. Ci ha reso ostaggi delle sue perniciose utopie.

Ma non le è riuscita di eliminare lo strumento che consente ai popoli di riappropriarsi del proprio destino: il voto democratico. Per un agognato incrocio della storia adesso cambiare si può. Li si può cacciare via dalla tolda di comando della nave Europa vergando sulla scheda elettorale il simbolo giusto. Segnare una decima, come direbbe il generale Roberto Vannacci. Ma se ciò non dovesse avvenire entro domenica notte, se la vittoria dovesse svanire, sarà solo colpa di coloro che, potendo far voltare pagina all’Europa, hanno disertato l’appuntamento con il destino. E non vi sarà nulla che potranno dire o fare per giustificare un tale tradimento, perché combattere per la propria e per l’altrui libertà non è semplicemente un diritto che la ragione rivendica ma è l’imperativo categorico dettato dalla coscienza che reclama ascolto. E noi, gente di destra, una coscienza l’abbiamo. Perciò, non c’è altro da aggiungere. Appuntamento domani e dopodomani al seggio, col sorriso in volto e il vestito buono della festa indosso. Perché sarà una festa. La festa della libertà dall’oppressione progressista.

Aggiornato il 07 giugno 2024 alle ore 10:19