Separazione carriere: ieri, oggi, domani

Il ministro Carlo Nordio, rispondendo a domande in tema di separazione delle carriere fra pubblici ministeri e giudici, ha ricordato una verità dotata di sicuro significato e cioè che Giovanni Falcone si era dichiarato favorevole a tale separazione. Apriti cielo! Per un verso, Alfredo Morvillo, fratello di Francesca, la moglie di Falcone, trucidata insieme a lui nel brutale agguato di Capaci, ha subito replicato, intimando al ministro di “lasciar riposare in pace i morti”, perché questo sarebbe “il solito giochetto” di molti, cioè quello di “usare il nome di Falcone come prova della bontà della loro tesi”. Alfredo Morvillo continua affermando che, al contrario di quanto sostenuto dal ministro, Falcone era contrario alla separazione delle carriere. Per altro verso, Pietro Grasso, già presidente del Senato ed ex magistrato, ha detto che Nordio offende la memoria di Falcone e che questi si sta rivoltando nella tomba. Non è difficile immaginare che nei prossimi giorni altre e numerose voci si leveranno allo scopo di ribadire simili posizioni, in maniera più o meno intensa e convinta. Ciò che colpisce non è tanto il dichiararsi a favore o contro una tale separazione, quanto la circostanza secondo la quale alcuni si autonominano – pretendendo peraltro un necessario riconoscimento sociale – unici eredi spirituali e culturali della persona di cui, di volta in volta, si tratti e perciò i soli legittimati a svolgere il ruolo inappellabile di interpreti autentici del pensiero di Falcone, delle sue azioni, dei prodotti del suo operato.

Per converso, ne verrebbe che gli altri, tutti gli altri, non godrebbero di alcun titolo di legittimazione per presentare, interpretare, comprendere, diffondere alcunché e che, se lo facessero (come a volte accade), incorrerebbero in una sorta di grave illecito, quello di lesa memoria del defunto, che come tale va denunciato e censurato. Ebbene, dal momento che questo modo di pensare (anzi, di non pensare) è purtroppo diffuso in ogni dove e cioè non solo in ambito politico, ma anche culturale e sociale, dove spesso si sente predicare che solo alcuni – gli eletti autonominatisi tali – avrebbero titolo per interpretare la pagina di quel tale scrittore o il senso di quel tale fenomeno della società, va precisato subito un punto fermo. E cioè che ogni parola, ogni pensiero, ogni dichiarazione, ogni forma di scrittura, ogni azione o comportamento, una volta manifestati all’esterno in modo da entrare a far parte dell’agone pubblico, escono definitivamente dalla sfera di competenza del soggetto che vi ha dato luogo, per sottomettersi inevitabilmente al dibattito e alla interpretazione di quanti intendano misurarsi con ciò che è stato detto, scritto, dichiarato, fatto. Altrimenti opinando – ritenendo cioè che, per una sorta di imperscrutabile diritto divino, solo alcuni siano legittimi e unici custodi della verità delle cose – ne verrebbe che, per esempio, nessun critico letterario potrebbe stigmatizzare l’opera sottoposta alla sua attenzione, perché subito drappelli di allievi e appassionati insorgerebbero nel rivendicare la primazia esclusiva e assoluta, intimando all’improvvido critico di tacere.

Dovremmo, in questo caso, registrare la morte del dibattito pubblico e, prima ancora, del pensiero critico e, alla fine, della stessa dialettica democratica. Proprio ricorrendo alla sana dialettica democratica attraverso il pensiero critico, va allora precisato nel merito che effettivamente Falcone si era dichiarato a favore della separazione. Si legga l’intervista da lui rilasciata a Repubblica il 3 ottobre 1991 a Mario Pirani: “Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri”. Più chiaro di così... con buona pace di Morvillo e di Grasso. Per finire, si sappia che Antonio Di Pietro ha rilasciato da poco un’intervista ove egli si dice convintamente a favore della separazione delle carriere e dell’intero progetto di riforma come oggi confezionato. E Di Pietro non faceva il droghiere: faceva il pubblico ministero.

Aggiornato il 07 giugno 2024 alle ore 10:17