La grande storia, quella che cambia davvero e in profondità la vita degli uomini e delle nazioni, è formata da una miriade di avvenimenti concatenati che si susseguono, che possono essere drammatici o apparentemente insignificanti, ma che sono in grado di contribuire a creare, in certi momenti, una situazione di scelta netta e non rinviabile, tale da cambiare tutto in un prima e un dopo. I ripetuti fallimenti, in epoca antica e contemporanea, di tutte le più grandi nazioni europee nel provare a costruire una loro egemonia permanente sull’Europa, fino all’ultima e più disastrosa guerra civile nel ’39-’45, condussero alla conclusione che ciò che non si era potuto ottenere per conquista. E cioè l’unità di una Europa che stava perdendo la sua influenza nel mondo. Poteva esserlo per una democratica unione federale tra pari. Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Robert Schuman, nonostante l’opposizione delle sinistre socialcomuniste di allora, furono gli interpreti della volontà di superare le divisioni che avevano distrutto l’Europa e di costruire una realtà nuova che, a partire dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, avrebbe portato nel tempo a dotare il Vecchio Continente di una struttura non ancora politicamente unita, ma certo fortemente proiettata verso tale esito.
E oggi quel disegno storico va completato: ci serve un’Europa federale, ci devono gli Stati Uniti d’Europa. È non è solo un problema di recupero dell’influenza europea nel mondo, che pure c’è per il rapido crescere di nuovi imperi e neanche di marcare una maggiore indipendenza dalla tutela americana (io non capisco perché 350 milioni di europei debbano farsi difendere da 250 milioni di americani contro trecento milioni di Russi, amava dire in passato il cristiano-sociale bavarese Franz Josef Strauss).
Si tratta ormai di ben di più, si tratta di restare quello che vogliamo essere e che siamo. Si tratta di riconoscerci europei per poter restare italiani, tedeschi o francesi. La nostra Europa dei castelli e delle leggende, della filosofia e della scienza, della grande musica e delle antiche tradizioni, delle piazzette coi portici e dei borghi marinari, delle chiese romaniche e delle cattedrali gotiche ha una storia comune. Una grande storia che dal diritto romano al codice napoleonico, dal Cristianesimo all’Illuminismo, dall’impero alle libertà comunali, pur tra mille vicissitudini trionfi e tragedie, ci ha fatti come siamo e, come credo, vogliamo restare, per noi e per il mondo.
Ma se per restare italiani dobbiamo sentirci europei, per non scomparire nel calderone indifferenziato dell’egemonia di grandi imperi di storia e tradizione diverse e contraddittorie con la nostra, per sentirci europei dobbiamo provare intenso quel sentimento che ci ha così fortemente legato nel passato alle nostre nazioni: l’amor di Patria. Una Patria europea. Senza un ethos europeo, molto simile ai patriottismi nazionali di un tempo, non riusciremo a costruire quest’Europa di cui abbiamo così bisogno per restare noi stessi nel mondo. Ma per fondare l’Europa su quei valori, che la possono realmente rendere possibile, bisogna appoggiarsi a chi quei valori li possiede da sempre: le destre. Italiane ed europee. Sì, le destre. Perché, anche che se legati alle tradizionali nazioni, amor di patria e della propria terra, senso dell’onore e delle tradizioni militari – i valori cioè essenziali per costruire un’entità che non sia solo una costruzione contrattualistica, ma una vera Patria di sentimenti di fratellanza – quelli sono i valori che sono necessari. L’Europa senza spirito di fratellanza non si farà mai. Quando, ad esempio, il processo di riunificazione tedesca stabilì la follia economica (ma politicamente necessaria) del marco tedesco occidentale scambiato alla pari con quello orientale, la cosa fu accettata perché i tedeschi si sentivano fratelli.
Gli europei non diventeranno mai una nazione, se non si accorgeranno di esserlo già – nel profondo – fratelli per storia, religione, vicinanza e cultura. La Storia ci fornisce anche l’esempio di analogie e di moduli di comportamento, sempre utili se si sanno interpretare e uno di questi è il divenire dell’unità italiana. La Penisola era allora un mosaico di staterelli, con piccole corti tenacemente autoreferenziali, tanti dialetti reciprocamente incomprensibili, in un’Europa dominata dai grandi Stati unitari. Furono tante e variate le voci e le energie del nostro Risorgimento, dall’apostolato di Giuseppe Mazzini, al valore di Giuseppe Garibaldi, fin dalla visione di Dante Alighieri. L’unità fu un sogno lungamente coltivato. Ma perché divenisse realmente possibile, ci volle uno Stato abbastanza forte, indipendente e con un programma adeguato, attorno a cui si potesse costruire l’unità: il Piemonte di Camillo Benso conte di Cavour. Oggi che l’idea federale unitaria, alimentata dai ricordi degli eccidi passati, si è fatta strada in molte coscienze e il crescere dei grandi imperi extraeuropei ci mostra tutti i giorni la perdita di peso e ruolo delle nostre antiche nazioni, l’idea di una Nazione-Europa si è ormai fatta strada. E, tutto considerando, la Francia potrebbe essere il Piemonte d’Europa. È una grande nazione dalla lunghissima storia, protagonista in tutte le tecnologie avanzate e dotata da sempre di un’alta tradizione diplomatica. Ma soprattutto possiede tre cose che mancano alle altre grandi nazioni fondatrici: l’arma atomica, il seggio permanente all’Onu, l’essere considerata tra le potenze vincitrici del secondo conflitto. Cose che rendono la Francia l’unico grande Paese europeo realmente indipendente, perciò in grado di impostare e realizzare un’iniziativa europea completamente autonoma dai riferimenti e dagli interessi dell’America e dei suoi più stretti alleati di lingua inglese.
Solo la Francia può rinunciare alla sua attuale superiorità e mettere in comune con gli europei la difesa nucleare e il seggio all’Onu, per realizzare così una vera unione tra eguali. Se il prezzo da pagare fosse il francese come prima lingua ufficiale e la capitale in territorio francese, credo che dovremmo pagarlo per una vera grande Europa federale, politicamente unita. A parte che la Nato diventerebbe una più forte alleanza tra due partner di peso comparabile, l’effetto di un’Europa unita sarebbe enorme per gli equilibri del mondo. A cominciare dalla Russia, che, poco popolata e dotata di un immenso spazio di risorse e materie prime, stretta tra le superpotenze molto popolose di Europa e Cina, credo che preferirebbe di gran lunga stare, per la sua storia europea e cristiana, con noi.
L’esempio italiano può aiutare non solo sul piano storico, ma anche su quello politico contingente, perché anche le grandi visioni hanno bisogno degli interpreti giusti. E, nonostante oggi la sinistra non sia più genericamente antieuropea, la Francia, dopo Schuman, Michel Rocard e Valéry René Marie Georges Giscard d’Estaing non ha più avuto veri europeisti alla sua guida, soprattutto non ha sviluppato un patriottismo europeo, che solo i partiti nazionalisti hanno naturalmente nel loro Dna. Solo che deve essere un nazionalismo o, se si vuole, un sovranismo europeo. Il Polo delle libertà da noi, i Democristiani tedeschi, il Rassemblement National di Marine Le Pen, saranno naturalmente, o dovranno diventare, il nucleo centrale politico di una aggregazione di centrodestra come quella che governa oggi l’Italia, sul modello del “connubio cavouriano” e della Destra storica. E che porti a un Governo dell’Unione europea a cui i liberal-socialisti di Emmanuel Macron potranno – se vorranno – unirsi senza però essere determinanti.
La Commissione dovrà assumere col tempo il ruolo di Governo federale e il Parlamento europeo (Camera dei popoli) potrebbe essere affiancato da un Senato (Camera degli Stati). Il principio dell’unanimità andrà pian piano sostituito da quello di maggioranza e le forze armate europee dovranno essere un solo esercito. Un’Europa che non abbia coscienza di sé, delle sue grandi somiglianze interne e delle sue differenze esterne non raggiungerà mai la sua unità politica. Un’Europa senza frontiere, aperta a tutte le invasioni e a tutte le influenze, non diventerà una nazione. Anzi, prolungherà per reazione l’esistenza degli Stati attuali, ricchi di grande storia e cultura, ma privi di un grande futuro. Con l’Europa non riotterremo solo il nostro ruolo nel mondo, ma probabilmente anche la pace, perché un’Europa realmente unita produrrebbe i suoi effetti stabilizzanti anche nel vicino Oriente e nella guerra di secessione russo-ucraina. Patrioti d’Europa e del nostro Paese: così dobbiamo imparare a sentirci. Per noi e per gli altri.
Aggiornato il 04 aprile 2024 alle ore 10:03