Ogni tanto si affacciano alla mente nomi come Giulio Andreotti, Aldo Moro e persino Bettino Craxi nel vedere come si sta trascinando la trattativa tra Israele e Palestina. O, per meglio dire, le voluttà (non) trattativistiche del premier Benjamin Netanyahu che ancora oggi, dopo tanti mesi, ritiene che ce ne vorranno tanti altri ancora per eliminare i capi di Hamas. Ora, non conosciamo molto le ultimissime vicende registrate in Terra Santa, ma ne sappiamo abbastanza del suo premier politico, del quale tutto si può dire fuorché voglia fare la pace con quel coacervo di protagonisti alla testa o alle spalle (Iran) di una terra sui quali tutti i nostri telegiornali aprono ogni sera, annunciando nuove aggressioni e nuove ferite. Reciproche. Ma ne sappiamo qualcosa circa il quadro nazional-politico che ha alla testa Netanyahu, il quale è certo un leader ma, altrettanto certo, deriva dalla estrema destra della politica di Israele. E già questo, va pur detto preliminarmente, non è un aspetto che ben disponga o che conduca volentieri trattative con Hamas, che resta pur sempre una associazione terroristica tipo le nostrane Brigate rosse.
Allora: con chi si tratta? Perché il terrorismo non è una questione astratta (purtroppo) e i terroristi hanno nomi e cognomi, nonostante la segretezza e i misteri. Oltre alla protezione dell’Iran. Si vuol dire, cioè, che non sia il caso di spalancare loro le porte del Ministero degli Esteri di Tel Aviv ma, semmai, di socchiudere porticine tramite Paesi amici, allargando il contesto a Stati “alleati” o vicini (Qatar, Arabia Saudita) con una politica di diplomazia acuta, se non di appeasement, proprio perché quei Paesi guardano con occhi attenti il Governo di Tel Aviv. E Netanyahu, non meno perfettamente, conosce la minacciosa presenza in Medio Oriente della grande potenza amica di Hamas, contro la quale non è stata mai data una semplice puntura di spillo, anche perché gli Usa negli andirivieni con Tel Aviv fanno chiaramente capire che la Casa Bianca vuole, fortissimamente vuole, la pace in Israele. Però, non meno fortemente, suggerisce di lasciare in pace l’ex Persia, che è in realtà la vera padrona, non solo di Hamas ma di quasi tutto il Medio Oriente che assedia Israele.
Che fare, dunque, povero Netanyahu? Non tocca a noi dare insegnamenti, anzi. Eppure la sensazione è che il premier israeliano, anche per la sua provenienza partitica, detesti la stessa parola “trattativa”. Tant’è vero che anche in queste ore dichiara che ci vogliono mesi per eliminare i capi di Hamas. Il che, tradotto in termini chiari, significa che si andrà avanti così per mesi e forse anni. Dunque, non si tratta. Ma è proprio questo limite di “Bibi”: quello di lasciar capire con molta chiarezza che con lui non ci sono e non ci saranno trattative, almeno fino alla “decapitazione dei capi Hamas. È ovvio che i decapitandi rispondano allo stesso modo. Così, parlare di pace in quelle tormentate terre è come parlare alla luna. Da ciò l’irritazione crescente di Joe Biden, che prima o poi deciderà di andare in Israele a scopo zero. Con, dall’altra parte, l’ulteriore crescita iraniana per l’odio contro Gerusalemme.
Aggiornato il 08 febbraio 2024 alle ore 09:27