È stata una notizia da prima pagina quella del saluto romano. Siamo alle solite. Quando non si sa come attaccare un, anzi, una premier eccoci al duopolio fascismo-antifascismo, alle critiche infuocate. Quasi sempre contro il saluto romano. Per puro caso, su un filobus milanese, mi è capitato di essere invitato a sedermi da uno dei due ragazzi che parlavano fra di loro del saluto romano incriminato. Mancava soltanto un interrogativo comico fra i due, giacché non sembravano del tutto informati, diciamo storicamente, su in che consistesse e soprattutto del perché di tante aspre critiche verso il saluto romano, una forma da decenni desueta e del tutto dimenticata.
Li sentivo assolutamente indifferenti, presi come erano a ricordare il grande Franz Beckenbauer del quale, lo ammettevano, non avevano mai sentito o avuto modo di discutere in tal modo, su un filobus poi. Uno dei due diceva di essere convinto che fosse morto. Questo mi ha dapprima sorpreso, ma subito dopo mi sono reso conto che c’era qualcosa di vecchio, troppo vecchio, ma anche troppo invadente nei miei ricordi. Spesso ciò che facciamo ci frena. Anzi ci svia, rispetto a notizie che sembrano attuali. Mentre vive, invece, quando sono defunte. E viceversa. Spesso, troppo spesso, si confonde il passato con il presente, non per dimenticanza ma per comodità, cosicché l’accaduto si presenta in tutta la sua gravità, soprattutto nel ricordo. Eppure, quel saluto romano – cioè fascista – compiuto da centinaia di fan del Duce e di cui quasi nessuno oggi potrebbe attribuire loro un’importanza “politica”, non serve se non ai mussoliniani di fede ancora in giro per il Paese. E ai loro figli. Infatti, la destra è ben altra cosa. O parliamo dell’estrema… destra. Chissà.
Forse esagero, ma vedere il braccio alzato come ricordava ridendoci sopra lo stesso Galeazzo Ciano (alla vigilia della sua fucilazione) non pare un richiamo alla politica tout court ma a una sua svolta ventennale, che la storia (la guerra) ha cancellato. Certo, la storia passata rimane compiuta, come scriveva il sempre attuale e ineguagliabile Tacito. Nel senso che ci resta per sempre consegnata. Eppure, a persone come me, e credo come a tanti altri, l’evocazione di quel saluto ha in sé qualcosa di cinematografico, di neorealistico, cioè di pura ricostruzione negli studi di Cinecittà (a parte le storie di Roberto Rossellini e le parodie di Dino Risi). Sono, insomma, delle rappresentazioni. Se non fosse che si tratta di ottime immagini plastiche. Di scene e di sequenze. Ovvero di film (di fiction). E non a caso tragedia e commedia (all’italiana, in particolare) simbolizzano a loro modo una storia che è del tutto compiuta. Ed elevata, appunto, a commedia quando non a farsa. Anche per queste ragioni, vale a dire per rimediare ai limiti invalicabili della storia, se ne inventa una. Per cinema e tivù.
Aggiornato il 11 gennaio 2024 alle ore 09:47