Mentre fra Elly Schlein e Giorgia Meloni qualsiasi “rissa” politica è comprensibile ai più, ciò che invece resta da comprendere, politicamente, è la costante ricerca dello scontro fra Giuseppe Conte e il resto del mondo (premier in primis). Per carità di patria (e per rispetto dei lettori) non stiamo a citare gli argomenti della (poco) civile tenzone contiana, anche perché c’è il cosiddetto imbarazzo della scelta nelle sue vicende. Vedi la più recente che sta, come accade da sempre, in una sconfitta. Soprattutto per quelli come lui che, Beppe Grillo su tutti, avevano fatto della “non politica” la bandiera in nome della quale combattere. E spesso urlare.
Quella subita dall’ex presidente del Consiglio è fra la più significative, sempre per via della (non) politica s’intende, giacché il costretto abbandono di Palazzo Chigi non è mai meno “doloroso” di quello che riguarda un vincitore, come si dice “a mani basse”, dell’ultima competizione elettorale. Ma ciò che rende quest’ultimo abbandono il più visibilmente istruttivo è, per l’appunto, la reazione di Conte, che si differenzia di molto rispetto alle analoghe e tante sconfitte dei predecessori. E dei successori, s’intende.
Era ed è scontato che proprio nella clamorosa vittoria di pochissimi anni prima, immeritata e non prevista dagli stessi grillini, siano rintracciabili i perché di una così rapida sconfitta. Ma se questo è un motivo comprensibile, assai meno lo è l’atteggiamento di un ex come quello di chi ha preceduto Giorgia Meloni. Conte, in realtà, avrebbe dovuto innanzitutto chiedersi le ragioni del grande successo precedente, per capire meglio quelle degli stop venuti subito dopo e che lo riguardano in prima persona, essendo stato “preso dalla strada” e buttato nel Palazzo più Palazzo di tutti: ossia Palazzo Chigi. Ovviamente, un comportamento come il suo appartiene alla natura umana quotidiana. Solo che diventare premier non può esserlo, salvo ricorrendo al caso, cioè alla fortuna. Appunto.
Ci stiamo tuttavia accorgendo in questo breve excursus (e ne chiediamo venia ai lettori) di ragionare extra articulum. Come ammoniva spesso il grande Leo Longanesi, nel senso e nel significato di un voluto abbandono della personalità di colui di cui si narra, per imporre una via con il cartello di senso unico. Mentre, au contraire, questo marchio appartiene ai moralisti. Cosa che non soltanto aborriamo, ma che non ci appartiene fin da piccoli. Quanto al presidente del Movimento 5 stelle, la (non richiesta né imposta) raccomandazione per la prossima volta è di fare non più il Conte, ma i conti. Con la realtà. Cosa niente affatto facile, eppure così necessaria (e obbligata) per chi è stato baciato dalla fortuna. Non capita (quasi) mai una seconda volta.
Aggiornato il 20 dicembre 2023 alle ore 10:09