Iran: silenzi che parlano

Loro non hanno un Antony Blinken che fa il giro delle sette chiese, nel senso che va in visita in tutti i Paesi – o quasi tutti – del Medio Oriente, alla ricerca della famosa araba fenice, in questo caso una possibilità concreta di pace con Israele. E intanto Gaza s’incendia per colpi e contraccolpi. Si potrebbe parlare di “drôle de guerre”, stando tuttavia attenti non soltanto alla ferocia del conflitto in corso ma a ben altro. Ma cosa c’è di “ben altro” quando è in corso uno scontro bellico? Per i Paesi musulmani, in guerra più o meno con Benjamin Netanyahu, (lo ripetiamo in nome del mai inutile “repetita iuvant”) l’unico scontro con Israele è in funzione della sua distruzione, del suo sterminio, della sua scomparsa. Hamas, tanto per fare un esempio della crudeltà che lo anima, è l’unico esercito della storia che ha pianificato deliberatamente le sue operazioni per far uccidere i propri civili dal nemico: i martiri, anche e soprattutto questi, dell’auto-sterminio.

Poi, è chiaro, l’inviato della Casa Bianca – che manda a dire al mondo intero, con il suo segretario di Stato, che la più grande potenza mondiale sta con Israele– deve fare il mestiere che ben conosce. Come, appunto, segretario di Stato, ministro degli Esteri, inviato speciale: disponibile, attento, sorridente e, mi raccomando, con grandi strette di mano. Dove è dunque il punto? Donde està el busillis? Non è difficile da comprendere o, almeno, non è impossibile.

Non è infatti impossibile che, dalla guerra tradizionale in corso (fin che resta, appunto, nei confini dello scontro tradizionale), Israele abbia il sopravvento. Ma sarebbe momentaneo, a parte il fatto non secondario che, a quel punto, un grande e grosso Paese come l’Iran interverrebbe, non fosse altro che per dare seguito al suo slogan di sempre: “Distruggere Israele! Morte all’America!”. Con replica di un ministro, poi silenziato da Netanyahu, di minaccia atomica. Non va dimenticato che qui sta dunque il cosiddetto busillis, qui stanno le frenetiche fatiche di un Blinken su e giù da un aereo all’altro. Del resto, è noto che l’unica grande potenza in grado di “schiacciare” l’odiato ebreo ha la capitale a Teheran e che, oltre ad avere asservito piccoli e meno piccoli Paesi della zona (basti pensare al Libano), ha posto un anello di fuoco intorno a Israele.

Le cose stanno così. E gli arabi, da quelli moderati (se ci sono ancora) agli altri, non possono fare finta di niente, vedendo le portaerei Usa nel loro mare di fronte. E osservando i giri e rigiri del buon Blinken sanno, capiscono e vedono che l’America c’è ed è al fianco di Gerusalemme, non soltanto per ragioni per dir così di amicizia, ma di civiltà. E lo scontro sarebbe uno scontro di civiltà. Se dunque i Paesi musulmani capiscono questo, al di là delle loro – e pure nostre – piazze tumultuanti, a maggior ragione lo vedono con grandissimo entusiasmo e, staremo per dire con impeto irrefrenabile, i governanti e la gente di Israele. Non deve essere casuale che molti osservatori abbiano ascoltato, sempre da Blinken e anche da Joe Biden, qualche invito alla moderazione. Ma è difficile, se non impossibile, che questo termine piaccia molto a Israele. E Teheran continua a tacere. Per ora.

Aggiornato il 08 novembre 2023 alle ore 09:19