Israele: l’America si muove

Lo diciamo anche con una certa scaramanzia, ma l’arrivo a Tel Aviv del segretario di Stato americano, Antony Blinken e la contestuale conferenza stampa di Joe Biden stanno riaprendo un discorso nuovo. E quando Blinken, commosso, ha ricordato di essere ebreo, con un nonno sfuggito ai pogrom della Polonia e l’altro sopravvissuto ai lager nazisti, si è colta una ragione (una missione?) in più nell’impegno della grande nazione democratica statunitense e del suo ruolo nella storia nell’accoglienza dei perseguitati. Un’iniziativa che, tra l’altro, dovrebbe svegliare dal lungo sonno (e dal lungo silenzio) un mondo arabo volutamente distratto, se non peggio. Il fatto che gli Usa fin da subito abbiano rotto ogni indugio diplomatico inviando, tra l’altro, la più potente delle portaerei, non solo vuole testimoniare e ribadire il profondo legame storico fra Stati Uniti e Israele, ma anche una preoccupazione che il Dipartimento di Stato ha espresso già nelle prime ore e che solo in questi ultimi giorni, vedi il caso della durissima dichiarazione di Olaf Scholz, sta diffondendosi in tutto il mondo occidentale.

Si tratta della presa d’atto di una situazione che, se è esplosiva e drammatica in Israele, non lo sarà da meno in tutto il Medio Oriente, al di là degli allarmi lanciati in merito a un allargamento del conflitto. O un allargamento ancora più ampio? La grande novità nella posizione espressa da Biden sta nella parificazione fra Hamas e Isis, due organizzazioni terroristiche che spargono sangue e distruzione. E che, dunque, il mondo libero – l’Occidente – non può tollerare. Il messaggio è chiaro. Gli Usa non dimenticano. E come potrebbero dimenticare i grattacieli abbattuti e le morti di quel terribile 11 settembre. Dunque, sanno che con il terrorismo non si discute: non c’è trattativa, non c’è dialogo. Rebus sic stantibus, l’unica vera difesa dalla parificazione fra i due terrori ha la sola risposta nelle armi.

Aggiornato il 16 ottobre 2023 alle ore 09:06