La Open Society Foundation ha pubblicato i dati di un’indagine demoscopica sul consenso della gente nei confronti della democrazia: sono stati intervistati più di trentaseimila persone in trenta Paesi. Ne è emerso un consenso ancora ampio per le libere istituzioni, ma con un dato allarmante nella fascia più giovane, fra i diciotto e i trentacinque anni: il quarantadue per cento dei giovanotti ritiene un regime militare un buon metodo di Governo delle Nazioni. Il trentacinque per cento è favorevole a un capo forte, il quale faccia a meno delle elezioni e del Parlamento.
Naturalmente i dati possono anche essere letti al contrario: contro il quarantadue per cento sta il cinquantotto per cento; contro il trentacinque per cento abbiamo il sessantacinque per cento. Non sono, però, maggioranze rassicuranti, quando non si tratta del consenso a un Governo ma a una forma di Governo. Già ci si è intrattenuti, su queste colonne, sullo scemare della percentuale dei votanti per i Parlamenti, tenendo conto del numero degli aventi diritto. È una percezione della scarsa utilità delle rappresentanze formali quando a decidere effettivamente su scelte rilevanti sono le realtà economiche transnazionali, il cui controllo sfugge alle democrazie nazionali.
Per questo le istituzioni dell’Unione europea, controllate da un Parlamento sopranazionale, sono sempre più attive. E Giorgia Meloni ne esalta la sussidiarietà rispetto allo Stato nazionale. È questa prospettiva, forte nell’Unione europea ma debole in altri Continenti e a livello globale, che può rilanciare la democrazia. Coltivare questa prospettiva nel centrodestra è forse il terreno specifico sul quale deve giocare il Partito Liberale italiano, in associazione con le altre forze della coalizione.
È infatti sua l’eredità di Luigi Einaudi, il quale riuscì a individuare con lucidità il problema dagli ultimi del secolo XIX ai primi della seconda metà del XX.
Aggiornato il 18 settembre 2023 alle ore 10:36