Dopo il voto del 23 luglio, la Spagna non ha ancora un governo ed è difficile che riesca ad avene uno stabile in tempi brevi, tanto che sembra abbastanza accreditata l’opzione di nuove elezioni all’inizio del 2024. Ora il leader del Partido Popular, Alberto Núñez Feijóo, ha ricevuto l’incarico di formare il nuovo governo, ma l’esito delle sue consultazioni è incerto perché gli mancano 4 voti che sembrano molto difficili da acquisire, in vista del dibattito al Congreso che si svolgerà il 27 settembre.
Il puzzle parlamentare non sembra dunque risolto, e ci si concentra sugli sviluppi. Ma ancor più interessante è osservare il retroscena politico della partita elettorale dello scorso luglio. In lizza erano tre partiti: destra (Vox), centro (PP) e sinistra (Psoe), più un movimento d’opinione, pure di sinistra, e i tradizionali micropartiti regionali. Il Partido Popular ha ottenuto la maggioranza relativa, ma avrà molte difficoltà a formare un governo di centrodestra, perché Vox ha perduto 19 seggi rispetto alle elezioni del 2019, e insieme i due si fermano a 170 seggi, mentre la maggioranza richiesta è 175. Nel partito di Abascal, ci si sta ponendo più di qualche domanda, perché scendere in termini percentuali dal 15,20 al 12,40 senza che le condizioni politico-sociali generali siano cambiate sfavorevolmente per Vox rispetto a quattro anni fa, è un dato innegabilmente negativo e, per molti aspetti, non facilmente comprensibile. Immaginavamo un governo a trazione PP con l’innesto di Vox e della destra conservatrice e liberale erede di Manuel Fraga Iribarne e Adolfo Suárez, e invece siamo allo stallo.
Gli osservatori internazionali si sono affannati a spiegare il risultato elettorale complessivo, constatando il successo del PP e attribuendo l’insuccesso di Vox alla sua destraggine. Da sinistra si sono alzati inni: la destra è stata sconfitta, il neofranchismo si è sgonfiato, Vox è una patologia e il socialismo ne è la cura. Ma, al di là di queste analisi a buon mercato, se nel settore destro, a contendere il voto a Vox non sono comparsi movimenti di una certa entità, e se il sentimento di destra nell’opinione pubblica spagnola conserva il medesimo spessore degli anni precedenti, perché una quota di questi elettori ha negato il voto a Vox?
Dal centro si risponde: perché la linea di Abascal è troppo di destra, tanto da spingere una parte di quegli elettori nelle braccia del PP. Da sinistra dicono: perché il PP ha cavalcato temi tipici della destra, attraendo il consenso della parte meno radicale dei voxisti. Di fatto, il PP è cresciuto e Vox ha perduto consensi dal suo proprio bacino elettorale: rispetto al 2019 gli mancano all’appello ben 620mila voti.
Due sono le principali cause di questa emorragia e del conseguente fallimento del centrodestra. La prima è imputabile al PP, il quale non ha trattato Vox come un alleato ma come un concorrente, il che nel sistema proporzionale è ammissibile formalmente, ma sbagliato sostanzialmente quando per governare è necessario che una coalizione ottenga la maggioranza assoluta dei seggi. Niente allontana e disincentiva gli elettori quanto l’impressione di discordia fra partiti che dovrebbero governare assieme, e quanto l’infido appello al voto utile, che il PP ha usato come una clava contro il suo potenziale alleato.
La seconda causa riguarda Vox, che ha perduto consensi perché non è riuscito a fungere da polo di attrazione dei diversi orientamenti che formano il variegato fronte della destra spagnola, non creando quell’equilibrio fra essi che è necessario per allargare il consenso, e perché questo scompenso interno ha evidenziato una tensione fra la destra sociale e rivoluzionaria e la destra liberale e conservatrice, con un netto spostamento a favore della prima, che non è apprezzata da una parte del partito ed è risultata sgradita a una parte dell’elettorato. Il simpatizzante della destra oggi, in quasi tutta Europa, vuole un partito atlantista, che non mostri la benché minima connivenza con la Russia, che dell’Europa è nemica palese; un partito che eserciti una critica costruttiva verso l’Ue, consapevole che l’Ue è il contenitore delle nazioni e dei popoli europei, e che è dovere della destra europea impegnarsi fino in fondo per dare all’Ue forma e contenuti all’altezza della tradizione e dell’identità di queste nazioni e di questi popoli. In questa prospettiva, il capogruppo e co-fondatore di Vox, Iván Espinosa de los Monteros, ha rassegnato poche settimane fa le dimissioni da parlamentare e dal partito proprio in disaccordo con quella tendenza antiamericana, velatamente filorussa e palesemente critica verso la Nato, che sta acquisendo sempre più spazio nel partito e a cui Santiago Abascal, pur non condividendola, sembra non riuscire ad opporsi.
Dall’Italia abbiamo guardato con interesse alla contesa ispanica, non solo perché la Spagna è una nazione di spicco della Ue, ma anche perché il governo attuale, che è molto vicino sia a Vox sia al PP, nasce da una situazione abbastanza simile a quella spagnola – sinistra forte, propensione all’assistenzialismo, opinione pubblica molto influenzata dal politicamente corretto, sistema elettorale che non favorisce la governabilità –, ma con una differenza essenziale: qui il centrodestra è unito.
Il sostegno di Giorgia Meloni a Vox è stato opportuno, ben calibrato, significativo e assai gradito, ma il partito di Abascal dovrebbe recepire molto più concretamente l’esempio della premier Meloni, pur ovviamente declinandolo sulle specificità della Spagna, e in particolare dovrebbe seguirlo cercando di far capire al Partido Popular, e soprattutto all’elettorato del PP, che senza coalizione si rischia di far governare la sinistra, come sarebbe accaduto anche in Italia senza la consapevolezza di questa necessità storica che sta riguardando molti paesi e, in prospettiva, la stessa Unione europea. Cioè a dire che il metodo-Meloni vale anche per l’assetto che fra un anno dovrà reggere le istituzioni europee.
È vero che la Spagna oggi è molto sinistrata, afflitta da svariati virus del ceppo socialcomunista e pervasa da un conformismo ideologico che spaventa, tanto è innestato nella mentalità collettiva, e quindi una forza di centrodestra ha serie difficoltà a far valere le proprie ragioni, tanto più se marcia divisa. Vox infatti è rimasto imprigionato nel doppio attacco, sia pure di diversa natura, proveniente da sinistra e dal centro.
Ma il caso italiano dimostra che la destra può essere maggioritaria e trainare una coalizione. Certo, l’opinione pubblica italiana non è così spostata a sinistra come quella spagnola, ma la forza delle varie sinistre nostrane, nel loro insieme, centrosinistra incluso, è pur sempre ragguardevole sul piano numerico e, soprattutto, straripante su quello mediatico. Eppure, settembre 2022, la destra meloniana ha ottenuto una vittoria elettorale limpida e rilevante, frutto di un paziente lavoro negli anni precedenti per cambiare le circostanze sfavorevoli e ora premessa per un ulteriore e decisivo cambiamento politico-culturale dell’Italia. Rispetto al centrodestra spagnolo, le proporzioni italiane sono invertite: la destra al 35 per cento, il centro al 15. Ma nei decenni scorsi non era così, anzi, fino a quattro anni fa Fratelli d’Italia, il partito di destra, era al 5 per cento. Giorgia Meloni e il suo partito avevano capito perfettamente, e da un decennio, cosa si doveva fare, e altrettanto lo aveva capito il centro della coalizione, Forza Italia e Lega, le quali, pur rimarcando giustamente le loro peculiarità e differenze, sono state leali alla destra nell’azione politica e nella campagna elettorale. Esattamente ciò che non è accaduto nel centrodestra spagnolo.
La duplice lezione che arriva dalla comparazione del caso spagnolo con quello italiano è: il centrodestra vince se è un’alleanza strategica e non meramente tattica; e la destra cresce se riesce, da un lato, ad adottare scelte in economia e in politica estera che la qualifichino rispettivamente per liberismo e atlantismo, senza con ciò perdere nemmeno un grammo della propria dedizione all’interesse nazionale (è un difficile esercizio di equilibrio, ma lo si può raggiungere), e dall’altro lato a distanziarsi da una destra social-rivoluzionaria, antiamericana e antiatlantista, proponendosi convincentemente come parte maggioritaria della coalizione. La Spagna probabilmente ritornerà al voto fra sei mesi, e quindi l’occasione di apprendere e applicare la lezione italiana è vicina, purché il Partido Popular comprenda il senso e il valore di una coalizione di centrodestra, e Vox riesca a stabilizzarsi definitivamente come destra liberale e conservatrice, con le caratteristiche di fondo economico-geopolitiche che Fratelli d’Italia ha assunto in base a una strategia di largo raggio e di lungo sguardo, al cui fondo politico c’è la convinzione che il liberalconservatorismo è la chiave teorica e pratica vincente per soddisfare le esigenze della popolazione, rispettare la sovranità delle nazioni e ricalibrare ovvero riformare profondamente concezione e procedure delle istituzioni europee.
Aggiornato il 29 agosto 2023 alle ore 11:17