Meloni diffamata: Saviano sarà assolto

Anche se Giorgia Meloni ha dichiarato che non rimetterà la querela sporta nei confronti di Roberto Saviano che l’aveva qualificata come “bastarda” nel corso della trasmissione Piazza Pulita, di cui era ospite, mi pare probabile che l’esito del procedimento non sia scontato.

Pur non godendo di doti divinatorie, azzardo l’ipotesi che Saviano sarà assolto dall’accusa di aver diffamato la Meloni. E ciò smentirebbe innanzitutto una strana osservazione dallo stesso Saviano consegnata alla stampa: e cioè che il processo si svolgerebbe in modo asimmetrico, in quanto la querelante è il presidente del Consiglio mentre il querelato un semplice cittadino come lui.

Questa osservazione mi pare strana sia perché la Meloni, quando presentò la querela (il 2020 ), non era presidente del Consiglio, ma capo di un piccolo partito di opposizione, sia perché Saviano – il quale ha sempre visto nell’opera della magistratura un baluardo dell’etica pubblica – adesso sembra diffidarne, temendo che la diversità del ruolo rivestito possa influenzarne la decisione. Il che non gli fa onore perché smentisce innumerevoli attestazioni di incondizionata fiducia verso i magistrati disseminate in tutti i suoi scritti e in tutte le sue apparizioni televisive.

A tacere poi del principio della separazione dei poteri, in virtù del quale i giudici non possono essere influenzati dal potere politico da chiunque posseduto, anche dalla Meloni, e che Saviano sembra aver dimenticato.

E tuttavia, credo che egli possa stare tranquillo, nei limiti in cui ritengo probabile una sua assoluzione e non certo perché in aula sono giunte a dargli man forte la scrittrice Michela Murgia e la compagna della Schlein, Paola Belloni, alla sua prima uscita pubblica.

O perché, come ha ancora precisato Saviano, “Questa maggioranza politica intende condurci verso quella che Eduardo Galeano battezzò ‘democratura’... Solo alla persona senza voce si lascia una comoda libertà di critica, ma a chi dispone di un megafono, di un palco, di spazio, in una ‘democratura’ viene resa la vita difficile”.

Saviano può stare tranquillo perché qualcosa mi dice che sarà assolto.

Cosa me lo dice? Il fatto che si siano già celebrate quattro udienze e che altre ne siano in calendario, mentre di solito in questi casi ne bastano due o tre? Forse. La circostanza che si sia ascoltato come testimone Corrado Formigli, conduttore della trasmissione? Probabilmente. L’aver voluto citare come testi altri soggetti, nonostante la registrazione della trasmissione sia chiarissima? Può essere. Tuttavia, sembra emergere qualcosa di più profondo, di cui quelli sopra segnalati non sono che labili indizi.

Partiamo da un dato lessicale, come sempre si fa nei procedimenti per diffamazione. Secondo la Treccani, il termine “bastarda” – appellativo da Saviano indirizzato alla Meloni – identifica una locuzione spregiativa che vale “degenere”, “corrotto”. Ciò in generale, in quel senso cioè in cui ciascuno di noi, se indirizzasse quell’appellativo in pubblico a chiunque altro – e ne fosse querelato – sarebbe condannato per diffamazione. Ma non Saviano.

Infatti, siccome la giurisprudenza in tema di diffamazione insegna che non bisogna valutare i termini usati in astratto, cioè per il significato generico di cui son dotati, ma in concreto, vale a dire nel contesto della situazione in cui essi vengono adoperati, l’esito è prefigurato.

Infatti, va notato innanzitutto che Saviano è uno scrittore di professione e si sa che per uno scrittore le parole non hanno mai un significato diretto ed univoco, ma obliquo, indiretto, allusivo, metaforico. Ne viene perciò che il medesimo termine se adoperato da me, che non sono scrittore, avrà una portata offensiva dell’altrui reputazione; se da Saviano, scrittore, potrebbe non averla, in quanto il suo senso è da cogliere a partire dall’universo immaginifico e simbolico che ne connota il sapere e la scrittura.

Inoltre, il contesto della situazione in cui quel termine fu evocato era quello di una trasmissione televisiva di approfondimento politico in un momento di grande tensione in cui si discuteva dei migranti morti in mare e sembra perciò normale che uno scrittore impegnato e sensibile come Saviano abbia potuto reagire a quello che diceva essere il cinismo dei politici anche usando espressioni come quella censurata.

Usando insomma termini certo aspri, “sopra le righe”, ma senza dolo, cioè senza voler consapevolmente offendere la reputazione della Meloni. Trattandosi dunque di una critica politica, benché aspra, essa non può dirsi dolosamente preordinata ad assumere carattere offensivo, assimilandosi invece ad una espressione di sapore reattivo, ma misurata e continente: e ciò esclude il reato di diffamazione.

Naturalmente, non importa che Saviano abbia in modo consapevole usato un termine oggettivamente offensivo; che l’abbia fatto nel corso di una trasmissione serale molto seguita; che, pur scrittore, resta comunque un umano fra gli umani, sottoposto ai medesimi obblighi.

Tuttavia, nonostante tutto la Meloni vincerà. Perché se Saviano sarà condannato, vedrà soddisfatta la sua querela. Se assolto, avrà il merito di aver portato all’attenzione di tutti il “modo” della assoluzione: un modo che “ancor m’offende”.

Aggiornato il 10 luglio 2023 alle ore 09:39