Daniela Santanchè, erede processuale di Silvio Berlusconi

Siamo onesti, quanti di noi si sono domandati chi, all’indomani della scomparsa di Silvio Berlusconi, ne avrebbe preso il posto nelle insistite attenzioni del circo mediatico-giudiziario? Tra i sinceri garantisti e i nemici giurati del giustizialismo, praticamente tutti. Ed eccoci servita la risposta: Daniela Santanchè. Quello andato in scena ieri l’altro al Senato della Repubblica è stato qualcosa di disgustoso. Il tentativo dell’opposizione di sinistra di crocifiggere l’esponente di Fratelli d’Italia ha richiamato in vita vecchi fantasmi eversivi che imprudentemente pensavamo definitivamente sepolti insieme al corpo mortale del vecchio leone di Arcore. È stato un penoso déjà-vu.

Una discutibile trasmissione d’inchiesta della televisione pubblica monta un’accusa su presunte illegalità compiute dal ministro del Turismo ai tempi in cui si occupava delle sue aziende. L’opposizione di sinistra, a corto di idee e di consensi, prende la palla al balzo e incastona una campagna diffamatoria a sfondo moralistico sulla malcapitata ministra. L’interessata, temendo lo stillicidio della gogna mediatica, commette un errore: va in Parlamento a dare spiegazioni del suo operato d’imprenditrice, di fatto legittimando la montatura giornalistica. La magistratura non manca di essere della partita fornendo un aiutino ai detrattori a mezzo stampa. Fa filtrare, con sorprendente tempismo, la notizia di un’indagine avviata sul conto della ministra. Lo scoop è affidato al quotidiano Domani di proprietà del finanziere residente in Svizzera Carlo De Benedetti, noto per le sue “simpatie” per il centrodestra. Gli utili idioti dei Cinque Stelle, costitutivamente votati a fare da galoppini al peggiore giustizialismo, si presentano in Senato con in tasca una mozione di sfiducia contro la ministra Santanchè, che depositano immediatamente dopo l’intervento in Aula dell’interessata. I giornali giustizialisti, preoccupati di restare senza lavoro dopo la morte del personaggio politico che per anni ha rappresentato il core business delle loro imprese editoriali, provvedono il giorno dopo a intorbidire le acque accusando la Santanchè di aver mentito al Parlamento in ordine alla circostanza che non fosse a conoscenza del procedimento penale avviato a suo carico. Lo fanno contando sul convincimento che non tutta l’opinione pubblica abbia contezza della differenza che corre tra l’essere indagato e l’aver ricevuto un avviso di garanzia dall’organo inquirente. La Santanchè, peraltro, nell’intervento al Senato ha giurato sul suo onore di non aver ricevuto alcun avviso di garanzia, non di non essere a conoscenza dell’esistenza di un’indagine che la riguardi. Dalla Procura della Repubblica, competente sulle vicende che investono le aziende di cui la Santanchè è stata titolare o amministratrice, solo nella serata del giorno della sua difesa in Aula è trapelata la notizia dell’esistenza dell’indagine e il fatto che lei fosse indagata.

Ci risiamo col teatrino della sinistra che, non sapendo fare il proprio mestiere, prova a recuperare consenso e a ribaltare gli esiti elettorali sfruttando l’arma giudiziaria. Possiamo dire, senza offendere la sensibilità di alcuno, quanto tutto ciò sia nauseante? Tuttavia, non siamo per nulla preoccupati di quello che potrà fare di male l’opposizione di sinistra. Ciò, invece, che ci allarma è la possibilità che il centrodestra cada nella trappola tesagli dal circo mediatico-giudiziario. In che modo? Andando dietro alle accuse e alle ricostruzioni tendenziose che, c’è da scommettere, i giornali giustizialisti monteranno d’ora in avanti quotidianamente. I mestatori si prodigheranno a scandagliare centimetro per centimetro la vita privata della Santanchè, anche i suoi trascorsi sentimentali, alla ricerca d’indizi che possano a posteriori suffragare l’accusa lanciata con intollerabile disinvoltura. E lo faranno fino a indurre i leader della maggioranza a chiedere alla ministra di compiere un passo indietro. Diranno i rappresentanti della maggioranza: apprezziamo Daniela che per ragioni d’opportunità si dimette dall’incarico ministeriale.

Se andasse in tal modo sarebbe un errore esiziale per tutto il centrodestra. Una follia cedere alla pressione mediatica. E poi per cosa? Per la sopravvalutata “opportunità politica”? Non è questo il modo di salvare la faccia presso i propri elettori? Si rendono conto i leader del centrodestra che la cosiddetta “opportunità” è l’arma diabolica a cui ricorrono i giustizialisti per annichilire la forza liberatrice contenuta nel concetto di garantismo? Negli anni della Seconda Repubblica ha fatto più vittime innocenti “l’opportunità politica” che la bomba atomica. Tante persone perbene che, sbattute in prima pagina come mostri per reati mai commessi, sono stati condannati alla morte civile salvo a stabilire, a distanza di anni, la loro assoluta innocenza rispetto ai fatti ignobilmente contestati a mezzo “sputtanamento”.

Sappiano Antonio Tajani, Matteo Salvini e Giorgia Meloni che cedere sulla Santanché significa aprire la stagione del tiro al piccione. Una volta verificata l’efficacia del metodo giustizialista, sarà un gioco da ragazzi per trasmissioni televisive spazzatura e giornali che assicurano il sevizio di delivery alle varie Procure sparse sul territorio nazionale, abbattere con inchieste taroccate in stile scandalo Metropol – quella sui presunti fondi neri erogati dalla Russia alla Lega attraverso il pagamento di tangenti su forniture petrolifere – i politici indesiderati o, più astutamente, generare nella maggioranza di governo un tale timor panico da scoraggiarla nella volontà di procedere alla riforma della Giustizia sgradita alle toghe politicizzate. I leader del centrodestra s’ispirino all’insegnamento di Silvio Berlusconi che è stato martirizzato dal potere giudiziario per tutta la sua vita politica. La storia non è fatta di Se, ma in coscienza pensate che Berlusconi avrebbe subito la mole impressionante di processi a cui è stato sottoposto se avesse optato per il passo indietro e fosse tornato a fare l’imprenditore lontano dall’agone politico? Lui ha tenuto duro e ha pagato la scelta di restare in campo. Però, è grazie al suo coraggio e alla sua caparbietà se oggi l’Italia beneficia di un Governo di centrodestra. Chiedetevi cosa sarebbe stato del nostro Paese se la sinistra avesse avuto campo libero, sollevata dall’ingombrante presenza di un personaggio del calibro del Cavaliere.

Attenti anche alla trappola dell’indignazione morale on-demand che la sinistra sta preparando. Già se ne scorgono le avvisaglie quando si sente pronunciare troppo spesso l’espressione “etica pubblica”. Qualcuno dai banchi dell’opposizione comunica che un rappresentante delle istituzioni sia tenuto, per norma costituzionale, a svolgere le proprie funzioni con onore e disciplina (articolo 54 Cost). Certo, anche la Santanchè ha giurato sulla Costituzione. Ma si è impegnata a svolgere con onore e disciplina le funzioni di ministro. Non d’imprenditore. I fatti che le vengono surrettiziamente contestati riguardano la sua vita da imprenditrice. Quindi, l’attività istituzionale non c’entra. Se, per assurdo, una legge estendesse i requisiti vincolanti della disciplina e dell’onore all’esercizio delle attività commerciali, una metà abbondante della classe imprenditoriale del nostro Paese dovrebbe rassegnare le dimissioni e ritirarsi a vita privata.

La battaglia della Santanchè, con la svolta di ieri l’altro, smette di essere una questione personale per assurgere al rango di combattimento in difesa della sovranità popolare nel suo incomprimibile diritto di scegliere da chi essere governati senza interferenze di sorta da parte di altri poteri dello Stato. La ministra Santanchè, a dispetto del cognome acquisito, non sarà una santa. Risulterà a taluni antipatica, a talaltri fastidiosa per l’irrequietezza del suo agire politico. Avrà forse combinato qualche piccolo pasticcio nella gestione delle sue aziende, ma scagli la prima pietra l’imprenditore che ha fatto sempre tutto in maniera perfetta. Adesso però tutto questo non conta. Oggi il caso di Daniela Santanchè si è trasformato nell’unità di misura con cui il centrodestra deve testare il proprio grado di resistenza alle insidie portate dal vento mai calato del giustizialismo. Ora che non c’è più Berlusconi a tenere la barra dritta del garantismo nella temperie del giustizialismo.

Aggiornato il 07 luglio 2023 alle ore 11:27