Italia Viva vista da un liberale di destra

Si è molto parlato della riunione romana degli Italiani che guardano al gruppo Renew Europe di Emmanuel Macron, un prodotto essenzialmente francese (anche per una certa alterigia) che taluni pensano però sia esportabile da noi. Io credo sia difficile avere anche da noi una sinistra nazionalista e “liberal”, anzitutto perché l’Italia è sinceramente federalista, mentre la Francia vede l’Europa quasi come una riedizione dell’Impero napoleonico. Ma soprattutto perché, nella storia dell’evoluzione della sinistra francese, c’è una grande differenza: là il comunismo ha contato meno che da noi.

Storicamente, nella sinistra italiana c’è qualcosa che la logora, che la divide e indebolisce fin dalla nascita ed è il rifiuto del riformismo democratico, che risorge ogni volta che essa sembra sul punto di approdare definitivamente alla maturazione politica. Soprattutto in rapporto alla Democrazia. Una sorta di richiamo della foresta che sempre la allontana dalla democrazia liberale nell’ultimo tratto, quando pare che vi stia finalmente per approdare. Prima i social-rivoluzionari e i massimalisti, poi i bolscevichi e i comunisti, poi ancora i gruppettari e i maoisti e oggi i giustizialisti, insieme ai fondamentalisti verdi e terzomondisti: c’è sempre qualcuno nella sinistra che, alla domanda se si debbano e possano rispettare gli avversari, risponde che in teoria sì, però nella pratica no, non sempre e soprattutto non tutti. Mentre coloro che invece, sempre nel corpo della sinistra, aderiscono compiutamente alla democrazia e ai suoi valori, vengono isolati e attaccati.

Bissolati e Bonomi, Turati e Saragat, Pacciardi e Craxi sono esempi classici di uomini politici emarginati, quando non esclusi (e in un paio di casi fu il giovane Mussolini socialista a compiere l’impresa). Oggi l’opera sembra continuare con Matteo Renzi e la sua Italia Viva. L’uomo non è facile, è molto assertivo, sicuro di sé e toscano (nel senso che davano alla parola sia Montanelli che Malaparte). Quando ti guarda sembra quasi che un po’ ti sfotta. È accentratore e decisionista, però non è comunista, non lo è mai stato. È certo troppo sbrigativo e impulsivo e la sua riforma costituzionale era tagliata con l’accetta, ma io non ce lo vedo Renzi (e credo di non sbagliare) a scassare l’economia di mercato o a fare leggi liberticide contro i reati d’opinione. E temo che sia proprio per quello che a sinistra lo rifiutino e stiano tentando di attaccarlo. In tutti i modi.

La demolizione dell’avversario, la sinistra estrema, soprattutto quella di ritorno alla Schlein, la fa ancora – e spesso – quella sinistra che, in fondo, sente ancora come lacerazione impossibile a sopportarsi la separazione dal mito del comunismo totalitario, per quanti lutti esso possa aver provocato nella storia. Nel caso di Renzi, contano certo anche la banale cronaca politica, la concorrenza, il potere, le ostilità personali, ma è difficile sfuggire alla sensazione che al fondo della vera e continuata aggressione, che mi pare stia subendo, non vi sia invece proprio la sua emarginazione in quanto “diverso”, diverso da una lunga tradizione comunista settaria, che può accettare di essere messa in soffitta, ma non contraddetta.

È un problema che sembra tornato d’attualità e non solo contro Renzi e i suoi. Come si spiegano, altrimenti, le rispolverate tirate antifasciste, che quando erano dirette contro Pella, Scelba o De Gasperi erano certo totalmente ingiustificate, ma almeno avvenivano a una relativa breve distanza dalla fine del fenomeno, mentre oggi hanno un che di surreale, un po’ come richiamare Erode o i Borboni a testimonial dell’attualità politica. Il nemico della democrazia si definisce con concetti generali: dittatura, totalitarismo o altro, ma non con un nome storico come fascismo, perché è come strizzare l’occhio e dire che per altre dittature, da quelle comuniste a quelle religiose, il discorso può essere diverso. Oppure, per contrasto, che l’elettrificazione del Paese o l’enciclopedia Treccani furono negative perché “fasciste”.

Le Schlein e i Saviano, in questo senso, non sono un fenomeno nuovo. Sembrano – e in effetti credo siano – solo il vecchio che ritorna, un vecchio comunismo che, ormai vergognoso di se stesso, si traveste da antifascismo per cercare di mantenere un ruolo. Anche se – come spesso accade nella storia – è sperabile che non rappresentino più la possibilità di ripetere una vera tragedia, ma solo una farsa invecchiata.

Si capisce invece subito e facilmente come Renzi e i suoi c’entrino poco con sardine, grilli, centri sociali, vecchi sindacalisti, attivisti anti-Tav, spegnitori d’altiforni e procuratori d’assalto. I Renziani vorrebbero riprendere le sinistre di tradizione tedesca e anglosassone e, anche se oggi questo non è che sia poi il massimo pregio, visto che il politically correct non è proprio un modello di tolleranza o di democrazia liberale, tuttavia rispetto ai redivivi trinariciuti italiani di guareschiana memoria (chiamiamoli Threenostrilled, per dare anche a loro un tocco di modernità anglofila) beh, sono davvero altro. E, anche se non possono sperare di esser visti davvero come moderati di centrodestra, questo basta e avanza per farli odiare a sinistra.

Tutto ciò è interessante, perché alla fin fine, tra liberali e liberal, ammettendo che siano tutti davvero tali, non vi sarebbe una grande distanza, solo una vocale. La cosa non mi riguarda personalmente: io sono un uomo della destra liberale, non del centro e mi sta molto bene l’attuale Governo e la sua maggioranza. Ma da italiano che crede nella democrazia del confronto non posso che augurarmi di avere una sinistra più simile a quella di Michel Rocard e Helmut Schmidt che a quella di Pietro Secchia. Una sinistra democratica di Governo, come l’abbiamo conosciuta con Prodi e Renzi, non sarà certo la mia scelta personale, ma resta pur sempre un’alternativa all’interno di valori condivisi. Ero molto giovane all’epoca del confronto televisivo tra Kennedy e Nixon, ma mi ricordo distintamente di aver pensato che fortuna fosse per l’America avere la scelta tra due alternative chiare, ma all’interno di comuni valori di riferimento. Potrebbe e dovrebbe essere così anche in Italia, dove pure la mia squadra giocherebbe meglio, se tutta la sinistra fosse complessivamente migliore, più aperta e più occidentale, ma soprattutto più democratica.

Aggiornato il 30 maggio 2023 alle ore 09:52