Ci voleva il Quirinale – dove l’attuale inquilino conosce molto bene la storia italiana – per fare emergere, in occasione del centocinquantesimo anniversario della morte di Alessandro Manzoni, una dei tanti modernissimi e attualissimi “messaggi” (scusatemi la brutta parola) del poeta milanese.
Sergio Mattarella sa che Don Lisander è bensì il vero fondatore della nostra lingua, ma non ignora che è nella successiva diffusione di questa stessa lingua che il suo romanzo vincola strettamente al presente non tanto, o soltanto, la rilettura di quattro secoli fa con la peste come seconda protagonista. Bensì il contenuto, l’essenza, la densità delle tante pagine dove si racchiudono autentici tesori – grandi o piccoli che siano – come del resto i personaggi.
Va detto che fra le tante letture del romanzo si è cimentata persino quella marxista della lotta di classe, tant’è che lo stesso Antonio Gramsci nei Quaderni del carcere, evitando intelligentemente i richiami ideologici, punta proprio su una delle “evidenze” più clamorose del Manzoni, per dir così proverbiale. La stessa ricordata da Mattarella e che è passata ai posteri, a noi soprattutto, come la “dialettica fra senso comune e buon senso”.
Peraltro, la complessità della narrazione, che non a caso è spesso in connessione con la Storia della colonna infame, suggerisce d’emblée una struttura privilegiante, una sorta di scontro fra ricchi e poveri, fra chi detiene il potere e chi lo deve subire. E c’è uno dei capitoli più pregnanti, quello dell’incontro nel suo castello fra Don Rodrigo e Fra Cristoforo con Conte Zio e cortigiani. E poi l’incontro col Padre Provinciale, un summit fra due “potestà” e “due canizie”. Ma, infine, come dice appunto uno dei protagonisti, “là c’è la Provvidenza”.
Il richiamo presidenziale non ci è sembrato casuale, soprattutto per la personalità di Mattarella, così attenta alle stesse sfumature cui la funzionalità – e dunque l’attualità della e nella suddetta dialettica – non poteva non stimolare echi e similitudini. Purché da parte del cittadino si abbia il coraggio di guardare al presente, di guardarci, quindi di utilizzare quella “dialettica” come chiave di lettura nei confronti di una ben diffusa tipologia politica.
Come il “senso comune” ai tempi di Renzo e Lucia era una sorta di grande coperta stesa dal potere per nascondere la realtà della peste, dei monatti, delle prepotenze, così ai nostri tempi di questo senso comune parleremmo come dell’aria che tira, del pensiero comune, del mainstream che indirizza, tranquillizza e copre (o nasconde). E meno male che non c’è la peste.
Aggiornato il 26 maggio 2023 alle ore 09:31