Ci sono tanti modi per riassumere un evento, nel nostro caso la vittoria del centrodestra in queste elezioni regionali. Si dirà della parzialità, appunto, dell’appuntamento con le urne. Ma proprio questo è il caso (o il problema), ovvero la non discutibilità di un risultato che, a tutti gli effetti, è un dato abbastanza raro. Infatti, non è per dir così discutibile. E non lo è, oltre che per via dei numeri, anche e soprattutto per il significato politico che, a ben vedere, smentisce le previsioni dell’apoliticità e comunque della sua estrema parzialità, come se si trattasse non di un elemento che fa parte di un tutto, ma di un qualcosa in sé, non meritevole di allargamenti ad altre considerazioni.
La verità è che la vittoria del centrodestra parla da sé. Bastano due semplici (semplici?) dati per darne la misura, sol che si pensi sia alla ri-vittoria in Lombardia, sia, soprattutto, al successo di Francesco Rocca che conquista il Lazio. Naturalmente, il commento della leader Giorgia Meloni si è per così dire placato, preferendo una sorta di frenata all’entusiasmo, che pure, come ripetiamo, è francamente giustificato e giustificabile. Giorgia sa molto bene quando sollevare il piede dall’acceleratore e poggiarlo sul pedale del freno, per calmare gli evviva e i bollenti spiriti con un occhio agli alleati, nella fattispecie Matteo Salvini che, allo stesso modo, potrebbe alzare forte il grido degli evviva avendo portato a casa, senza dimenticare gli iniziali scongiuri, un buon risultato. Scongiuri contro i non pochi, anche e soprattutto interni al partito, che non hanno mai nascosto di remargli contro. Come si faceva un giorno contro l’uomo di Gemonio.
“No” dunque ai bollenti spiriti, che sono pure nel bagaglio della destra (quando vince, naturalmente) ma anche “no”, probabilmente, a superficiali considerazioni nel seguire una Meloni che proprio da questo successo, peraltro non insperato, poiché non aveva avversari, deve pensare e riflettere sulle mosse in vista, fra cui quella che non è più una mossa ma un risultato a portata di mano. Ovvero l’accesso al Governo.
Certo, il successo di Attilio Fontana (che non ha mai posseduto la fisionomia del grande vincente, semmai quella di un conduttore paziente) rafforza l’Esecutivo e lo avvicina ai successi di Roberto Formigoni – del quale, a quanto si mormora, dovrebbero giungere delle novità – ma, al tempo stesso, costituisce un forte richiamo a una stabilità di un Governo che, detto per inciso, non possiede i fulgori d’antan bensì, come si sa, una tranquilla illuminazione innanzitutto per non sbagliare dove mettere i piedi.
In questo contesto, si inserisce e pesa l’ultima espressione di un astensionismo che mai come ora ha mostrato un successo senza precedenti, confermando la tendenza degli ultimi anni cui non hanno posto rimedio, come sperava qualcuno, le novità cosiddette “partitiche”. Anzi, la verità nuda e cruda è che non soltanto il gioco politico di maggioranza e opposizione è fra i soliti (non)magnifici quattro, ma che la (non) strutturazione partitica mostra inevitabilmente la corda dell’assenza, ormai decennale, non soltanto di partiti degni di questo nome ma di autentici leader. Basti pensare al riposo di un Cavaliere non più in lotta ma in pensione in riva a qualche lago o laghetto. Ma, almeno lui, può reclamare un passato di lotta e di Governo. E gli altri?
Si è voluta e cercata, pervicacemente, la distruzione di qualsiasi partito (la Polis) in attesa di quel nuovo che non è mai arrivato e che adesso, ma è troppo tardi, fa rimpiangere i famosi “temporibus illis” nei quali mai e poi mai si sarebbero potuto immaginare gli illimitati astensionismi, che sono la volontà esplicita di non voler partecipare al “gioco” della democrazia, cioè della volontà del popolo.
Il fatto, ed è un fatto dopo questa elezione, è che proprio la vittoria del centrodestra rivela quel vuoto politico che ha contagiato anche – e soprattutto – un’opposizione senza arte né parte, che si aggira in una Paese che sta scontando le facilonerie antipartitiche, cioè antipolitiche, portandosi sistematicamente la vanga sui propri piedi. L’esempio di quei Cinque Stelle che avrebbero voluto cambiare il mondo parla da solo. E ci mette di fronte all’ennesimo tradimento della Polis che, come si sa, alla fine si vendica.
Aggiornato il 16 febbraio 2023 alle ore 09:25