Non c’è solo il ristretto cortile italiano a cui badare. C’è la grande aia europea di cui preoccuparsi. Non smettiamo di dirlo, ogniqualvolta se ne presenti l’opportunità: questa Europa non è giusta con noi e per noi. Il che non significa pensare di abbatterla a colpi d’ascia. Ma riformarla nel profondo, sì. Per farlo, tuttavia, occorre che vi sia all’interno dell’Unione europea una maggioranza politica coesa sensibile al cambiamento, nel senso del ripristino delle antiche aspirazioni a proseguire il percorso comunitario nel nome dei valori tradizionali e identitari sui quali è stata costruita la civiltà occidentale. Finora, ciò non è stato possibile perché a Bruxelles, specularmente a quello che è accaduto in Italia negli ultimi dodici anni, il progressismo ha fatto da padrone, imponendo i suoi paradigmi culturali, a cominciare dagli stilemi dell’ideologia perniciosa del relativismo etico. Ciò è stato possibile a causa dello scivolamento identitario del Partito Popolare europeo che ha ritenuto più conveniente virare a sinistra invece di rispettare le proprie radici.
Oggi, però, lo spartito potrebbe cambiare. L’evento sul quale i media italiani si sono scarsamente focalizzati è il dialogo allacciato tra Manfred Weber, capogruppo dei Popolari europei e la nostra Giorgia Meloni, leader dei Conservatori e riformisti europei. La tessitura, che è solo ai primi incroci dell’ordito, potrebbe provocare nel 2024, quando si tornerà a votare per rinnovare le istituzioni comunitarie, uno spostamento dell’asse della politica dell’Unione dal centrosinistra al centrodestra. Sarebbe la premessa per rimettere le cose a posto, anche a Bruxelles. Sarebbe il crollo definitivo dell’anatema, sul quale per anni ha lucrato la sinistra, dell’incompatibilità di un Governo nazionale di centrodestra con agli assetti progressisti comunitari. Sarebbe la fine dell’incubo provocato dal dilagare delle teorie gender e del disorientamento sessuale, oltre che il ritorno ai valori tradizionali legati al concetto di famiglia, società naturale fondata sul matrimonio e ordinata sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi di sesso diverso. Sarebbe una stretta alla diffusione del nichilismo spirituale, soprattutto tra le nuove generazioni. Sarebbe una diga alla tracimazione della “società fluida”. Sarebbe la porte sbarrata alla cancel culture e a tutto ciò che neghi o criminalizzi il vissuto storico dei popoli del Vecchio Continente. Sarebbe il giro di vite contro la penetrazione di culture e di religioni allogene, che si pongono come finalità escatologica la distruzione della nostra civiltà. E sarebbe anche la fine di certi innamoramenti occidentali verso il mondo del comunismo cinese, che hanno rappresentato il bug, la falla nel sistema di connessione delle sinapsi del pensiero europeo.
Ma sarebbe anche il ritorno a un quadro più stabile nelle relazioni transatlantiche. Soprattutto in vista, sempre nel 2024, di un cambio di rotta della politica statunitense con l’elezione di un presidente proveniente dalle fila repubblicane del Gop, il Grand Old Party. Con assetti conservatori e di destra presenti su entrambe le sponde dell’Atlantico potrebbe allinearsi una serie di temi centrali per lo sviluppo coerente dell’Occidente, a cominciare dallo scetticismo sulla politica climatica alle politiche educative, familiari e di genere. Vi sarebbe maggiore sintonia sulle questioni inerenti al contenimento del fenomeno migratorio e al rafforzamento della sicurezza delle frontiere. L’organizzazione della Nato conoscerebbe nuova vita e nuovo vigore. Sul fronte degli equilibri intracomunitari, il rafforzamento dell’asse italo-tedesco, che avrebbe per protagonisti Meloni e Weber, porterebbe alla nomina a presidente della prossima Commissione europea, in luogo di un’anodina Ursula von der Leyen, di un politico più marcatamente schierato sul fronte antiprogressista, probabilmente lo stesso Manfred Weber. In tal senso, vi è un felice precedente datato 17 gennaio 2017, con l’elezione a presidente del Parlamento europeo di Antonio Tajani, grazie a un accordo raggiunto tra popolari e conservatori.
Ma il riassetto nei rapporti di forza mieterebbe una vittima illustre: la Francia di Emmanuel Macron. Al riguardo, concordiamo totalmente con l’analisi sviluppata da Stefano Graziosi e James Jay Carafano per la “The Heritage Foundation”, think tank conservatore statunitense, secondo la quale la strategia fortemente filo-atlantista di Giorgia Meloni “è probabilmente la causa della recente irritazione francese nei confronti dell’Italia. Formalmente, la crisi diplomatica tra Roma e Parigi è scoppiata a causa di dissapori sull’immigrazione clandestina. È probabile, tuttavia, che Emmanuel Macron stia cercando di ostacolare politicamente l’Italia perché teme che la Meloni possa rafforzare le relazioni transatlantiche. Poiché le relazioni tra Francia e Stati Uniti sono state notevolmente tese sia sotto Trump che sotto Biden, Macron è turbato dalla linea filo-americana della Meloni e dalla mancanza di deferenza nei confronti di Parigi”.
Anche il rapporto con l’eurogruppo di destra “Identità e democrazia”, guidato dalla Lega col sostegno del Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella, porrebbe problematiche di vicinato ideologico che andranno indagate. Come in tutte le avventure umane, non c’è niente di facile né di scontato nel processo di avvicinamento in corso tra popolari e conservatori europei. Il principale ostacolo da superare sta nell’armonizzazione di due modelli di società, l’uno più centralista l’altro più liberale, che i conservatori e i popolari rispettivamente esprimono. Tuttavia, la struttura democratica delle istituzioni comunitarie impone governance basate su maggioranze politiche culturalmente omogenee. Finora, il Ppe ha avvertito maggiore appeal con i socialisti ma, domandiamoci, per quanto tempo ancora un partito d’ispirazione cristiana potrà convivere con un inganno.
Dai segnali che riceviamo da Manfred Weber sembra che quel tempo sia scaduto. Un passo importante verso il cambiamento di rotta del Partito Popolare europeo potrebbe determinarsi a seguito delle elezioni politiche in Spagna che si terranno in questo 2023. Lì, se un rinato Partito Popolare spagnolo dovesse stringere l’intesa con i conservatori di Vox per mettere fuori gioco la sinistra locale, la strada per un patto europeo di centrodestra sarebbe spianata. Oggi la protagonista, per parte italiana, di questo possibile piccolo miracolo europeo è Giorgia Meloni. È giusto che sia lei a raccogliere i frutti che cadono dalla migliore pianta che nell’acquis comunitario potesse attecchire e svilupparsi. Ma, per onore di verità, quella pianta che oggi promette frutti non è stata lei a piantarla ma un vecchio, stravagante, visionario di nome Silvio Berlusconi. La formula politica “centrodestra” reca il suo marchio di fabbrica e, in una società che riconosca il diritto d’autore, sarebbe giusto, oltre che elegante, attribuirgliene il merito.
Aggiornato il 17 gennaio 2023 alle ore 08:43