Identità, tradizione, fede e libertà

Giorgia Meloni, presidente del Consiglio dei ministri, è in grado, oltre che di governare, di donare a tutti noi delle riflessioni con i suoi discorsi, frutto delle sue meditazioni e di una profondità che difficilmente avvertiamo in un politico. A meno di non intendere con Politico ciò che disse Pitagora, cioè l’iniziato al massimo grado della sua schola Italica, ossia la più grande espressione d’un antica sapienza secondo Arturo Reghini.

Questo è il discorso, pubblicato sui mezzi di comunicazione sociale, tenuto di fronte ai rappresentanti della comunità ebraica romana per l’inizio della festa di ḥănukkāh, in ebraico חנוכה o חֲנֻכָּה. La festa delle luci, nella quale s’accendono per gradi, giorno per giorno, le fiamme d’un candelabro, per simboleggiare la perennità del giudaismo ed esporla in pubblico. Giorgia Meloni ne ravvisa un simbolo d’identità di quel popolo, il quale – proprio in forza di quell’identità – ha resistito, ben agganciato alla Tradizione, a secoli di una storia fatta anche di persecuzioni.

Un amico di chi scrive, il quale fu un cattolico molto conservatore – e di recente passato ad altra dimensione – soleva ricordare come il popolo ebraico già esistesse quando in quel territorio, e attorno ad esso, vi erano Assiri, Babilonesi, Ittiti ed altri popoli. Tutti scomparsi, tranne appunto gli ebrei. Costoro sono stati anche dispersi da Tito Flavio Cesare Vespasiano Augusto e hanno vagato per tutti i Continenti, preservando la propria identità. Tutto questo in virtù anche dei simboli della loro Tradizione.

Giorgia Meloni ha rimarcato ciò con grande convinzione e commozione. Di recente, qualche esponente del “culturame” di Sinistra, ma anche di Destra, ha sproloquiato sulla “cultura” di Giorgia Meloni e degli autori spesso citati dalla stessa, per affermare d’avervi colto una presa di distanza da un certo tradizionalismo tipico della Destra d’un tempo. Invece, proprio da questo discorso emerge la totale adesione del presidente del Consiglio alla “cultura di Tradizione”. Se non cita certi autori, forse è perché non la esaltano coloro i quali, per esempio, si “arrapano”, e talora farneticano, attorno alla “cabala mistica”. E poi la staccano dall’identità di quel popolo il quale ha espresso, anche attraverso essa, il fiore della sua tradizione che, proprio in ebraico, si dice qabbaláh o kabbalah: קַבָּלָה‎.

Per Giorgia Meloni l’identità non è escludente. Ciò incentiva e non ostacola lo scambio d’idee e sentimenti con altre identità. Gli ebrei italiani, per questo, sono fortemente membri della Nazione e hanno anche integrato con l’esserlo, in quanto israeliti, l’eredità comune alla Patria. Per Roma, dove si è svolta la cerimonia e tenuto il discorso, mi viene in mente Ernesto Nathan. Come veneto, penso invece a Daniele Manin.

Questo è proprio il nucleo del rapporto tra le identità e la Tradizione. Tutte e due richiedono, per essere forti, la Fede, cioè la fiducia d’un fondamento nell’Eterno. Sotto questo aspetto, proprio nella Cabala, l’albero delle emanazioni è capovolto, poiché le radici stanno in alto, nell’Eterno, e le fronde sulla terra. Tutto il manifesto ha radici nei Principi, in Eterno. È chiaro, ogni giorno di più, come il presidente del Consiglio sia una donna e madre, soprattutto, di principi, non disgiunti dai sentimenti. Questa è la sua forza.

Aggiornato il 21 dicembre 2022 alle ore 10:01