Cinque Stelle: qualcuno volò sul nido del cuculo

È credibile Giuseppe Conte come guida dell’opposizione al Governo Meloni? Per rispondere alla domanda è necessario prima capire quale opposizione intenda intestarsi il leader dei Cinque Stelle. E, soprattutto, bisogna chiedersi se la strada scelta per contrapporsi al centrodestra sia definitiva o invece corrisponda a una rappresentazione della postura che l’ex premier mette in scena, salvo a stravolgerla ove le circostanze politiche – e le convenienze elettorali – lo richiedessero.

Una tale volubilità per qualsiasi politico sarebbe un’onta. Non lo è per il deputato Giuseppe Conte che del trasformismo ideologico, il più odioso, ha fatto la sua cifra identificativa. L’ex premier si scopre capopopolo a difesa dei più deboli e brandisce il Reddito di cittadinanza come una spada con la quale trafiggere i nemici politici. Un tempo, un personaggio del genere lo si sarebbe definito opportunista. All’avvocato di Volturara Appula, invece, non dispiacerebbe essere inserito nell’albero genealogico della sinistra. Ma sarebbe un intruso. Conte, nel rapporto con la sinistra, vive la sindrome del cuculo, l’uccello parassita. Il cuculo, ancora implume s’insinua nel nido di un uccello di altra specie, ne elimina le uova presenti, scaccia i nati della nidiata e si fa nutrire dalla madre surrogata. Che poi non è diverso, in fatto di tecnica dello scrocco, da ciò che il leader cinquestelle ha fatto e continua a fare a spese della sinistra tradizionale. Prima si è inserito in un campo non suo, perché il grillismo di cui si è impossessato è nato sul presupposto intangibile della terzietà rispetto ai blocchi storici della destra e della sinistra. Dopo un periodo di coabitazione nell’area progressista, il “cuculo” Conte ha cominciato a strattonare il legittimo abitatore di quel nido, il Partito Democratico, fino a spingere il suo leader, Enrico Letta, giù nel vuoto. E adesso, stando ai sondaggi, il “cuculo” comincia a succhiare il nutrimento del campo largo progressista, nella forma di occupazione dello spazio politico, al punto che qualche esperto pronostica per il Pd una fine per prosciugamento uguale a quella del defunto Partito socialista francese.

Ora, il signor Conte potrà pure camuffarsi da cuculo e rubare il pane di altri, ma questo non farà mai di lui un erede della cultura politica della sinistra occidentale per l’evidente ragione che la somma di populismo e qualunquismo, che il deputato Conte ha stipato alla rinfusa nel suo bagaglio ideologico, mal si combinano con i valori e le finalità della visione socialista. La teoria socialista, riguardo al fenomeno della disoccupazione, fonda sull’analisi originaria di Karl Marx che per primo attribuisce una forte soggettività alla classe operaia quale agente della storia. A differenza della centralità della divisione tra oppressi e oppressori nella teoria marxiana, per Marx i disoccupati sono assimilati alla plebaglia, venale, sottoproletaria, della “terza classe”. Essi rappresentano un pericolo per la lotta di classe del proletariato contro la borghesia, in quanto sono l’“esercito industriale di riserva” del capitale e pertanto possono allearsi indistintamente con ciascuna delle due parti in lotta. Per il padre del comunismo, la massa di diseredati privi di lavoro e di coscienza di classe è un’escrescenza della società che genera una condizione di “sovrappopolazione relativa”, funzionale allo sviluppo dell’economia capitalistica. L’idea di tenere masse d’individui inoccupati a carico dell’assistenza pubblica con forme di sussidio slegate dall’obbligo di qualsiasi tipo di prestazione lavorativa non sarebbe mai potuta appartenere alla sinistra che, in una logica di evoluzionismo sociale di matrice positivistica, ha posto in connessione il riscatto del proletario con il recupero pieno della sua dignità di essere umano.

Giuseppe Conte questa cosa non l’ha capita. Gioca a fare l’intellettuale organico al popolo su parole d’ordine e obiettivi, come la perpetuazione a tempo indeterminato del pubblico sussidio, che allontanano la filosofia del Reddito di cittadinanza dal socialismo mentre l’avvicinano a quella delle Power Laws del Medioevo anglosassone. Conte sceglie di farsi riprendere dalle telecamere mentre arringa i disperati che vivono la marginalità delle periferie. Ma anche in questo caso la superficialità del suo messaggio incrocia l’insufficienza delle sue analisi politiche. È accaduto di recente. L’ex premier si è concesso ai media dalla piazza di Scampia, per l’occasione affollata da una massa di questuanti desiderosi di rassicurazioni sulle future erogazioni del Reddito di cittadinanza. Cosa c’era di sbagliato in quelle immagini? Tutto. A cominciare dalla riproposizione di un vecchio cliché che vuole il quartiere napoletano di Scampia, insieme allo Zen di Palermo e al Corviale di Roma, paradigma del degrado economico, sociale e morale annidato nelle viscere della nazione. Uno stigma che ha fatto la fortuna di molti ciarlatani camuffati da intellettuali e di venditori di fumo in stile “Gomorra”. Sebbene innegabili, la marginalità e i processi segregativi indotti da una errata interpretazione del Piano Straordinario di Edilizia Residenziale (Pser) per Napoli, varato dopo il terremoto del 1980, si associano alla presenza di realtà socio-economiche del ceto medio borghese, presenti in loco a seguito degli interventi di edilizia sovvenzionata e di cooperative abitative private. Scampia la si può definire un modello di urbanizzazione stratificata che rispecchia la periferia europea. Se ne ricava che solo una parte del quartiere può essere ricondotta allo stereotipo di “fabbrica della marginalità”. È vero che la fama di piazza dello spaccio di stupefacenti più pericolosa d’Europa Scampia l’abbia guadagnata con la costruzione delle sette Vele le quali, per le caratteristiche della popolazione lì alloggiata, si sono trasformate ben presto in un microcosmo criminale all’interno di un macrocosmo del disagio. Ciò, tuttavia, non fa di Scampia un quartiere di tutti disperati o, peggio, di tutti delinquenti. Un’indagine sociologica svolta per individuare i profili ricorrenti delle categorie socio-produttive della generalità dei residenti nel quartiere tratteggia un quadro sorprendente per eterogeneità. Scrive al riguardo Fabio Amato in “Periferie plurali: il caso di Scampia oltre gli stigmi: “lavoratori dipendenti di industria e servizi, assegnatari di alloggi Iacp provenienti da altre periferie; assegnatari senza tetto; proprietari degli alloggi negli edifici delle cooperative provenienti da zone urbane ed extraurbane; occupanti abusivi in edifici di edilizia pubblica, soprattutto quelli non completati; abusivi che occupano i piani terra seminterrati, perciò chiamati ‘scantinatisti’; infine Rom nel campo nomadi di Cupa Perillo, sito in un’area posta al di sotto del cavalcavia dell’Asse perimetrale Melito-Scampia”.

Di tutta questa varia umanità, Giuseppe Conte chi intende rappresentare? Vi è un segmento di popolazione residente che vive dei proventi delle attività illegali e criminali. Costoro, risultando nullatenenti alla fiscalità generale, sono in prevalenza percettori del Reddito di cittadinanza. Attenzione, però. Nel caso specifico, non parliamo di un sostegno vitale offerto dallo Stato a individui totalmente indigenti. Traendo profitto da attività illegali, il sussidio per costoro va classificato come integrazione al reddito di provenienza illegale. È questo mondo che Conte vuole tutelare? E quando insinua che un eventuale taglio della misura assistenziale potrebbe provocare una violenta reazione sociale, a cosa allude? Alla capacità delle organizzazioni criminali di fare massa critica allo scopo di alimentare spinte eversive e ribelliste? L’avvocato in pochette sta scherzando col fuoco. Nella sua strategia si scorge l’illusione di replicare il trionfo del primo grillismo, nel 2013, generato dall’intuizione che fu di Gianroberto Casaleggio di canalizzare la protesta sociale e gestirla nell’alveo dell’ordine costituzionale. Ma non è detto che ciò che funzionò dieci anni orsono funzionerebbe oggi allo stesso modo. Sono cambiati i tempi ed è peggiorato il contesto generale. Se a muovere le piazze di domani dovessero essere soggetti provenienti da mondi antitetici alla società ordinata dalle leggi, Conte si troverebbe stretto tra due fuochi: la difesa dello Stato da una parte e, dall’altra, la tentazione di guidare contro le istituzioni democratiche quella che Marx ed Engels definivano la plebaglia dei lazzaroni. Per le dissennate parole pronunciate da Conte in questi giorni qualcuno ha evocato la figura, drammatica per la storia d’Italia, del “cattivo maestro”. Dissentiamo. A noi, il Conte visto in azione ricorda le fattezze, goffe e pasticcione, di un apprendista stregone. Comunque, non ci piacciano entrambe.

Aggiornato il 11 dicembre 2022 alle ore 09:21