Categorie e Governo di una democrazia liberale

La presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, nel primo mese di Governo si è anche prodigata nell’avviare colloqui con le parti sociali. Ha precisato come ritenga rilevante il ruolo delle categorie e dei corpi intermedi nel tessuto della Nazione. Però ha condotto il tutto, come è capitato quasi sempre nel Secondo dopoguerra del XX secolo, con colloqui o interventi al di fuori del quadro istituzionale.

Dall’entrata in vigore della Costituzione, si è teso a sviluppare il rapporto tra le categorie fuori dal suo articolo 99, con il quale si istituisce, come organo di loro rappresentanza, il Comitato nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), con potere di proposta legislativa. Ciò in quanto, tra sindacati, operai e partiti di riferimento è stata egemone un’ideologia marxengelsiana di lotta, non di collaborazione istituzionale. La riforma costituzionale varata dal Governo presieduto da Matteo Renzi, allora a capo del Partito Democratico, in cui quell’ideologia era – ed è – predominante, conteneva persino l’abrogazione dell’articolo 99. Per fortuna, la saggezza degli italiani ha fatto persino venir meno il quorum per il referendum di conferma di quella “ristrutturazione” della Carta.

Prima di proseguire oltre, c’è da chiarire l’infondatezza storica dell’opposizione della Sinistra a un’inclusione delle categorie nel quadro costituzionale che, al solito, usa il fascismo come fantasma per far paura. Perché se essa ricorda il 1939, con la sostituzione della Camera dei deputati con quella dei Fasci e delle Corporazioni, è fuori dalla realtà. Senza voler risalire alla prima Costituzione italiana, quella della Repubblica cisalpina e infine al Regno d’Italia del 1805, quello napoleonico, come in gran parte illustrato ne Il regno del merito di Gian Domenico Romagnosi, in cui i cittadini, per votare la loro rappresentanza, furono incorporati nelle categorie dei possidenti, dei dotti e dei commercianti, giova comunque rammentare che, nella sociologia italiana, il primo a considerare indispensabile una inclusione delle categorie in Costituzione fu Gaetano Mosca. Costui, nel 1922, fu tra i primi ad aderire al Partito Liberale Italiano appena fondato. Fu il precettore del principe Umberto di Savoia, il luogotenente della guerra di liberazione dall’occupazione nazista, a cui si devono i decreti di convocazione dei comizi elettorali per l’Assemblea costituente e il referendum sulla forma istituzionale dello Stato (l’attuale Costituzione, qualunque sia stata la gestione dei risultati delle urne da parte del ministero degli Interni, è frutto di quei decreti luogotenenziali, non della cosiddetta Resistenza). La prima rappresentanza costituzionale delle categorie fu prevista dalla Carta del Carnaro, la Costituzione rielaborata per Fiume da Gabriele d’Annunzio e scritta da Alceste De Ambris. Questi nulla volle saperne del fascismo e andò in Francia, in esilio, dove fu segretario generale della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo.

L’articolo 99 della Costituzione fu fermamente voluto da Meuccio Ruini, figlio di un garibaldino, nei primi del Millenovecento aderente al “Radical-socialismo” come metodo d’azione per rendere possibile una “vera collaborazione di classe” fra tutti i ceti che vivevano del proprio lavoro, in modo da dar corpo a una “democrazia del lavoro”. Fin dal Primo dopoguerra propose, a questo fine, l’istituzione d’un Consiglio nazionale del lavoro, con la modifica del Consiglio superiore del lavoro, istituito nel 1903 come organo deliberativo composto da rappresentanze paritetiche fra lavoratori e datori di lavoro dei diversi comparti produttivi. Con tali idee si oppose al fascismo e collaborò con Giovanni Amendola su Il Mondo e, poi, nel 1924, nell’Unione nazionale delle forze liberali e democratiche. Fu lui a fondare, con Ivanoe Bonomi, fra il 1942 e il 1943, a Roma, un Comitato delle forze antifasciste trasformato, il 9 settembre del 1943, in Comitato di liberazione nazionale. Fondò il partito della Democrazia del lavoro, il 13 giugno 1944, con il quale fu eletto, nell’ambito dell’Unione democratica nazionale con il Partito Liberale Italiano, all’Assemblea costituente. Fedele agli ideali di sempre, volle l’istituzione del Cnel.

Quindi, inserendo in una riforma costituzionale i criteri d’elezione e partecipazione legislativa di quest’organo, di tutto si potrebbe accusare il presidente del Consiglio meno che di voler restaurare una rappresentanza dei fasci e delle corporazioni. Con più efficaci metodi di selezione, se ne può fare una reale rappresentanza istituzionale delle categorie e dei corpi intermedi. Per renderla fruttuosa, basta fare obbligo alla Camera dei deputati di mettere subito in calendario, con priorità, le proposte legislative del Cnel e, in caso di scioglimento di essa, la non decadenza delle stesse e la calendarizzazione immediata nella nuova legislatura. Poi sarebbe da valutare, nelle materie di quest’organo, che la competenza di proposta in Parlamento potrebbe essere affidata solo alla Camera. Con l’invio – del testo approvato – non al Senato bensì al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. Per poter iniziare con questo, e non con Palazzo Madama, l’eventuale “navetta” per l’approvazione. 

Aggiornato il 07 dicembre 2022 alle ore 09:28