Midterm: le preghiere di Biden e lo tsunami rosso della Florida

L’indice di gradimento scivola e l’onda rossa – a quanto ne sappiamo – non fa troppi danni. Potrebbe essere peggio, potrebbe piovere: chissà, forse Joe Biden avrà fatto affidamento alla cinematografia a stelle e strisce, andando a pescare un classico come Frankestein junior di Mel Brooks per commentare i risultati ancora in essere delle elezioni di Midterm. Come un novello Igor, in quella pellicola magistralmente interpretato da Marty Feldman, il presidente dem degli Usa prova a tenere botta seppur ingobbito dai sondaggi che non sono per nulla teneri. Uno degli ultimi (Reuters-Ipsos) indica un tasso di approvazione per sleeping Joe che scivola al 39 per cento, un punto in meno rispetto al mese precedente.

Con lo scrutinio ancora in corso, la sorte dei Democratici alla Camera è quasi segnata. Discorso diverso al Senato, dove la situazione è in stallo. La bilancia potrebbe pendere da una parte o dall’altra. Prima, però, bisogna attendere gli esiti che emergeranno da Arizona e Nevada, mentre la Georgia annuncia il ballottaggio per il 6 dicembre: il senatore democratico Raphael Warnock e lo sfidante repubblicano Herschel Walker non raggiungono il 50 per cento dei voti. Nell’eventualità di una conferma delle attuali percentuali (con i Democratici vincenti in Arizona e i Repubblicani in Nevada), per decidere le sorti del Senato sarà fondamentale attendere circa un mese. Proprio come accaduto nel 2020, quando in Georgia vinsero i due candidati dem, garantendo ai Democratici il controllo della Camera grazie al voto decisivo della vicepresidente Kamala Harris. Intanto, Ron Johnson la spunta in Wisconsin

Biden cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno. Su Twitter dice “abbiamo perso meno seggi alla Camera di qualsiasi presidente democratico nella sua prima elezione di Midterm in almeno 40 anni. E abbiamo avuto le migliori Midterm per i governatori dal 1986. Il popolo americano ha parlato”. Allo stesso tempo, ha un colloquio telefonico con Kevin McCarthy, leader dei Repubblicani alla Camera, di cui dovrebbe diventare speaker con la vittoria del suo partito alla House. Il presidente americano, in una situazione non proprio idilliaca, pur non essendo né golpelione punta alla collaborazione bipartisan che intende portare avanti dopo la chiamata per il rinnovo di metà del Congresso.

 “Voglio ringraziare i giovani di questa nazione che hanno votato con numeri storici, proprio come hanno fatto due anni fa – continua Biden – hanno votato per continuare ad affrontare la crisi climatica, la violenza delle armi da fuoco, i loro diritti e le loro libertà personali, e la riduzione del debito studentesco”. Insomma, le preghiere si sprecano.

Il Grand Old Party, da par sua, procede lentamente – ma non troppo – verso la riconquista della Camera. In base alla proiezione di Nbc, ai dem andrebbero 214 seggi (invece dei 221 attuali). I Repubblicani ne avrebbero 221 (ora sono 212). Quindi tre sopra il quorum di maggioranza, dopo aver strappato 13 posti ma con un guadagno netto di 9. Lindsey Graham, stretto collaboratore di Donald Trump, afferma: “Non è certamente un’onda rossa, questo è sicuro”. Kevin McCarthy, invece, sostiene: “È chiaro che ci riprenderemo la Camera”. Proprio lui, come detto, dovrebbe succedere a Nancy Pelosi come speaker. In più, già promette una stretta sugli aiuti all’Ucraina ma anche indagini a tappeto sull’Amministrazione Biden.

In mezzo al guado c’è Donald Trump, contento ma non troppo. Il tycoon, infatti, puntualizza su Truth Social: “Anche se in un certo senso l’elezione è stata in qualche modo fonte di disappunto, dal mio personale punto di vista è stata una grandissima vittoria: 2019 vittorie e 16 sconfitte nelle generali. Chi ha mai fatto meglio di questo?”. Ma la verità guarda altrove. Ovvero in Florida, dove lo tsunami rosso di Ron DeSantis spariglia le carte della corsa alle Presidenziali. E proprio dal Sunshine State potrebbe partire la campagna elettorale per la Casa Bianca. DeSantis è riconfermato governatore. Una vittoria che non ammette repliche, e che vede i successi nella latina Miami-Dade (da vent’anni inespugnabile, l’ultimo a conquistarla è Jeb Bush), nella progressista Palm Beach e nella roccaforte a maggioranza portoricana di Osceola. Trump lo chiama “Ron De-Sanctimonious”, per appellarlo come moralista e bigotto. Ma dietro la spocchia di The Donald si nasconde il timore di una valida alternativa, a lui stesso, sul fronte repubblicano. E per questo lo attacca (e continuerà a farlo) come se fosse un rivale. Dopotutto, the show must go on.

Aggiornato il 11 novembre 2022 alle ore 09:41