Cives liberalis

Nel momento in cui la campagna elettorale si è conclusa, ha vinto la Destra come qui auspicato, se non altro per dare un’alternativa a un’egemonia di potere sempre più consolidata. Il Governo sperato si è formato ed è operante. Adesso giova tornare a riflettere sulle possibilità e l’avvenire di una presenza liberale.

Il passato è nobile: è il Risorgimento d’Italia. Si celebra il centenario del Partito Liberale Italiano, sempre in proporzioni ridottissime nell’età delle masse. Oggi, poi, è solo un piccolissimo circolo d’appassionati anche perché da anni, contraddittoriamente, si chiama Partito ma non fa politica.

Questo è stato Stefano De Luca. Adesso ha ricominciato, schierandosi a Destra ma, ovviamente, senza una parte nella commedia, in conseguenza di quel lungo sonno. Cosa deve fare adesso? Avviare una riflessione, di quella Destra, sulle ragioni del reale partito di maggioranza assoluta: gli italiani che non sono andati a votare. E pur Patrioti, legati a questa Nazione, ai suoi interessi ideali, morali e materiali, iniziare proprio notando come nelle altre Nazioni libere sia lo stesso. Per i Paesi soggetti a regimi totalitari o autoritari, il problema con si pone: si vota con le armi alla schiena, anche se la lista è unica. Nel mondo libero la gente sta a casa, o va in villeggiatura, perché non ritiene che la volontà del proprio Parlamento o dell’Esecutivo incida ancora sulla propria vita. Di contro, ritengono che le scelte rilevanti siano prese, a livello globale, dalle imprese, cioè i oggetti privati, transnazionali, che sfuggono a qualsiasi controllo pubblico.

Il liberalismo classico, cui il Pli aderisce, da Adam Smith a Friedrich August von Hayek, il quale esprime un’attenzione agli aspetti giuridici istituzionali molto acuta, superiore a quella di molti libertarian, hanno sempre chiarito come il mercato sia un’istituzione. È libero dove ci siano le regole sui contratti (anche di lavoro), sulla concorrenza, sull’organizzazione e la fiscalità. Insomma, dove le regole siano osservate e controllate dalla gente. E dove proteggano la libertà del volere. L’anarchia, d’altro canto, porta alla tirannide dei più forti.

L’attuale mondialismo genera oligarchi. Costoro accorpano imprese, generano cartelli. Pongono la sede legale dove ci sono meno controlli sul rispetto delle regole o la possibile corruttela, dove ci sono meno tributi o dove è più facile evadere. Le fabbriche volano dove il lavoro costa meno e sussistono minori garanzie per l’impiego o la salute dei dipendenti. Occorre partire da un Governo in grado di prendere il coraggio a due mani, che proponga alla Comunità internazionale, a partire dalle Nazioni libere, una grande conferenza globale per la riforma delle Organizzazioni internazionali per regolare in modo deciso, liberale e trasparente tutto ciò. Noi non siamo in grado d’indicare risposte infallibili.

L’Italia, però, ha potenzialità non usate. A Roma ha sede l’Unidroit, l’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato. È una di quelle cose che stanno lì, ha un’eccellente biblioteca. È finanziata, anche se poco, ma i “politici” si sono dimenticati che esista. Eppure, se l’unificazione del diritto partisse da Roma, ci sarebbe anche un perché. Ecco un’iniziativa che il Partito Liberale Italiano potrebbe lanciare, a cominciare da un simposio, per tutto il centrodestra, lavorandoci sopra per la fase propositiva.

Nella situazione contingente, il Governo deve partire dalle circostanze. Invece, una formazione storica che voglia aiutarlo, deve porsi e porle prospettive ideali. Per farle conoscere a quel popolo lontano dalla politica per sfiducia. E per reinserirlo in una Nazione attiva nel mondo.

Aggiornato il 26 ottobre 2022 alle ore 10:05